sabato 28 marzo 2020

Il suicidio dell'Occidente

Noi non abbiamo la possibilità di realizzare questo o quello ma la libertà di fare ciò che è necessario o nulla (Oswald Spengler).

IL SUICIDIO DELL'OCCIDENTE

Io sono svedese (sarebbe bello!). Il direttore della Sanità pubblica svedese, Johan Carlson, ha difeso il suo sorprendente approccio al coronavirus affermando che: “Non si possono varare misure draconiane che hanno un impatto limitato sull'epidemia ma abbattono le funzioni sociali". E’ esattamente quello che penso io. L’avevo accennato in un post del 10 marzo poi rimosso a causa della critica di un’amica che lavora in ospedale, per rispetto verso di lei e tutto il personale sanitario. Ora, mi sono già scusato per quel post e se qualcuno ci resterà male per questo e’ libero di criticarmi, ma io resto dell’idea che la Svezia abbia ragione e tutti gli altri torto. Ci saranno più o meno morti, in Svezia? Stiamo a vedere. Di certo tra sei mesi ci sara’ ancora - per i superstiti - uno stato sociale modello, servizi eccellenti, una qualità’ della vita invidiabile. Tutte cose che noi - col nobile proposito di salvare vite umane - perderemo. Il fatto e’ che un conto sono le misure draconiane applicate dai militari  a Wuhan in uno stato dove milioni (si dice 200) di cittadini sono tracciati perché’ considerati socialmente pericolosi e la rete (che presto realizzeranno qui da noi - il famoso 5G) e’ in grado di controllare l’intera popolazione come neppure Orwell avrebbe mai immaginato, un altro conto e’ questa chiusura all’italiana, che per ora non sembra funzionare contro l’epidemia ma di sicuro ha spezzato l’economia e lascerà’ milioni di poveri, un paese allo stremo con intere famiglie senza un soldo e disoccupati in casa, uno scontro con l’Europa dall’esito quasi scontato: o uscita o tutela da parte di una Troika alla greca. Io capisco che la voce del padrone Gruber, Fazio e Gramellini difenda le scelte di Giuseppi e Zingaretti, ma mi appello al diritto (esercitabile fino all’arrivo del 5G cinese) di esprimere il mio dissenso.
Questo sara’ ricordato come il suicidio dell’Occidente. Tutti coloro che tanto disprezzavano la modernità e che sognavano un regresso alla vita bucolica (idealizzata) dei bei tempi che furono, tutti  gli apologeti del letame come Corona oggi sperano che da questa crisi sbocci un fiore: io, come i milioni di cittadini del Sud del mondo che c’invidiano la nostra modernità’ e che sono disposti a rischiare la vita per vivere come noi, sono disposto a rischiare la mia per il benessere materiale delle mie figlie. Cardiopatico, un ictus, un’ischemia cerebrale sono un soggetto a rischio e so quello che scrivo.

mercoledì 25 marzo 2020

Bella ciao

ALFREDO TOCCHI, BELLA CIAO
Se tutti urlano bianco
Lui solo grida nero
Per mantenere vivo
Il libero pensiero
Questa mattina, mi son svegliato
“O bella ciao”, ho detto a mia figlia (noi Tocchi siamo di origini toscane),
questa mattina, 24 marzo 2020, mi son svegliato e sono sceso con il can.
In pantofole, sacchettino per la cacca in mano, ho aperto il cancello
e ho trovato una FIAT dei carabinieri: “Lei dove va?”
“Esco col cane.”
“Ha l’autocertificazione?”
“No.”
“Allora non può uscire.”
Il cane tira verso il palo, a tre metri di distanza: “Gli faccio fare la pipì e torno dentro.”
Faccio un passo, ma l’appuntato si è accigliato: “Se vuole restare in strada, deve compilare l’autocertificazione.”
“Ma scusi, per certificare cosa? Non vede che sono in pantofole?”
“Non faccia lo spiritoso.”
“No, ma non capisco cosa devo autocertificare.”
“Di non avere il virus”
“Ma come faccio a saperlo, se poi dichiaro il falso, cosa mi succede?”
“Le domande le facciamo noi, favorisca i documenti.”
“Non li ho presi, devo ancora farmi la doccia.”
“Abita qui?”
“Sì.”
“Non l’ho mai vista.”
“E’ la casa dei miei bisnonni, la via porta il nome di un cugino dei miei genitori morto partigiano, siamo qui da più di cent’anni.” Non sto a spiegargli come sia possibile che il povero Giorgio Borgato fosse cugino sia di mia madre che di mio padre, sarebbe complicato e imbarazzante giustificare la simpatica bizzarria famigliare di trovare il coniuge attraversando la via e sposando un parente: un esempio di pigrizia nella ricerca del partner (non so se attraversassero la strada in pantofole).
“Vada a prendere i documenti.”
“Ciabattando salgo le scale, prendo il portafoglio, do un bacio in fronte a mia moglie: “O bella ciao!” e scendo trainato dal cane.
“Eccoli.”
Dopo un rapido esame, l’accusa: “Lei risiede a Milano.”
“Sì certo, ma sono qui da venerdì 6 marzo.”
“Per quale motivo?”
“I miei genitori hanno più di ottant’anni. Siamo venuti per il fine settimana e siamo rimasti qui.”
“E chi altro abita in questa casa?”
“Mia moglie e mia figlia piccola, di quattro anni.”
Mi squadra: “E lei ha genitori così anziani e una figlia così piccola?”
“E’ figlia della mia seconda moglie…”
“Non dovreste essere qui. Tra l’altro, come hanno scritto tutti i giornali, qui non avete il medico di base.”
Inizio a essere nervoso. Il cane tira, io sono un avvocato di 57 anni che deve giustificarsi con un ragazzino che vive il suo attimo di gloria: fare una denunzia, la prima in paese, contro un milanese. Gioco una carta disperata, quella di sdrammatizzare: “Senta, se vuole torno dentro. Le prometto che la prossima volta compilerò l’autocertificazione.”
“No, voi dovete ritornare a casa, a Milano.”
“Persino i delinquenti hanno il diritto di scegliersi dove scontare la pena della detenzione domiciliare.”
“Le ho già detto di non fare dello spirito.”
Ho il sangue alla testa, fisso negli occhi questo giovane eroe di una guerra senza seconde linee, combattuta contro un micidiale nemico invisibile, questo moderno martire al quale il sindaco dedicherà una via, magari questa stessa via già dedicata a un giovane morto per la libertà, ma non dico nulla.
Lascio libero il cane - almeno lui - faccio un passo indietro poggiando le pantofole sulla soglia del cancello e sussurro: “Così va bene?”
“No, non va bene.”
Sulla mia testa ronza un drone. Spia la mia casa… tanto non è la mia residenza.
Non basta scrivere: “Andrà tutto bene” perché le cose vadano bene: questa e’ una nuova forma di superstizione laica che si aggiunge a quella dei credenti. Queste giornate non saranno ricordate come il tempo della nostra vittoria, ma quello della nostra disfatta. La cura e’ stata mille volte più devastante della malattia e presto sara’ chiaro a tutti. Ma è già evidente che nessuno farà autocritica, nemmeno chi ha trasformato un’emergenza sanitaria in un grandioso esperimento sociale o, se vogliamo, una prova tecnica di dittatura della paura. Forse è giusto così: il punto è che l'uomo continua a illudersi di essere simile a un Dio e poi si comporta ... da uomo. Non si assume le responsabilità del proprio impatto devastante sul pianeta (quasi sette miliardi e mezzo di esseri umani sono il problema, non la modernità, accusata dai cattivi scrittori, dai nostalgici della stalla, dai retorici apologeti del letame!).

Una mattina mi son svegliato e ho scoperto che ero stato condannato a una pena detentiva da uno stato di polizia guidato dal mio collega avvocato Giuseppi, dove una giustizia sommaria viene amministrata a discrezione dell’ultimo appuntato dei carabinieri.
Una mattina mi son svegliato e mi avevano privato dei miei diritti: la libertà di movimento, la libertà di esercitare la mia professione, la libertà di scontare la pena al mio domicilio eletto, il diritto alla privacy.
Una mattina mi son svegliato e tutti gli organi d’informazione diffondevano false notizie sul numero dei contagiati - che non conoscono e con tutta probabilità e’ prossimo ai 500.000 - per non farci sapere che la percentuale dei morti e’ molto più bassa e che il vero problema che ha aggravato nel nostro paese questa tragedia e’ che vent’anni di tagli alla sanità ci hanno privato di più di meta’ dei letti nelle terapie intensive. Tutti gridavano bianco. Io, assumendomene tutte le inevitabili conseguenze, ho gridato nero. Nel reparto di terapia intensiva del Policlinico di Milano mi sono risvegliato dal coma, e’ grazie all’eccellente lavoro fatto da medici e infermieri se ho ancora voce!
Una mattina mi son svegliato e tutti i sacrifici che avevo fatto per contribuire al benessere della mia famiglia e al risanamento del bilancio di uno Stato gestito da irresponsabili bancarottieri sono andati in fumo.
Quella mattina, l’Italia – un paese libero - gioiva per il permesso concesso dalla Signora von der Leyen di fare nuovo debito, mentre la Signora Lagarde (dopo averci avvertito che lo spread sono fatti nostri, per poi smentire) impegnava la BCE ad acquistare i nostri titoli di Stato, in cambio di un rendimento che varierà in base allo spread, che è in mano alla speculazione e il Signor Klaus Regling tuonava (per poi smentire) che Italia e Spagna devono mettersi in ginocchio, davanti a lui che e’ l’Amministratore del Meccanismo Europeo di Stabilita’ (MES), se vorranno aiuto.
Una mattina, in pantofole e senza documenti in tasca, ho dato un’occhiata al cancello del mio vicino e ho visto un lenzuolo con scritto: “Andrà tutto bene” sotto il tricolore.
Quella mattina, credetemi, è stata l’inizio di una nuova consapevolezza: ero l’ultimo liberale, ora sono anarchico.

mercoledì 18 marzo 2020

Coronavirus

Leggo che il virus è una delle conseguenze negative della modernità, trae la sua origine nella distruzione dell'habitat naturale e nei contatti tra fauna selvatica e esseri umani. Sembra tutto vero... Eppure scritto così è ambiguo. Se per modernità l'autore intendeva "i nostri tempi", posso essere d'accordo. Tuttavia, dal contesto è evidente che il significato di modernità sia "lo sviluppo economico". Ci sono miriadi di persone - e migliaia di pessimi e arcinoti e pluripremiati scrittori - che ci propinano la loro miope agiografia del passato. Sono i cantori della montagna, gli affezionati alla stalla, gli escrementizi nostalgici del letame. Il problema (e non parlo soltanto del virus, ma del disastro ecologico sotto gli occhi di tutti noi), è la sovrappopolazione. 7 miliardi e 300 milioni di esseri umani sono il virus che distrugge la terra. La modernità ha consentito questa esponenziale proliferazione, ma si può ipotizzare un meraviglioso mondo moderno senza la distruzione del nostro unico pianeta: basterebbe tornare ad una popolazione quale quella del 1931. Qualche numero: quando nacque Cristo, la popolazione del nostro pianeta era di duecentocinquanta milioni. Sedici secoli dopo, quando i Padri Pellegrini sbarcarono in America, le creature umane superavano di poco i cinquecento milioni. Il giorno della firma della Dichiarazione di Indipendenza americana, la popolazione mondiale superava i settecento milioni. Nel 1931, sfiorava i due miliardi. Oggi, 7 miliardi e 300 milioni. Questa progressione è insostenibile. INSOSTENIBILE!
E la modernità non è la causa del virus, la soluzione non è quella degli scrittori di montagna, non è il ritorno alle stalle e alla vita semplice dei nostri avi. La soluzione è il controllo rigoroso delle nascite. Quindi, per favore, oggi che siamo tutti chiusi in casa, cerchiamo di usare il preservativo.

martedì 3 marzo 2020

KURT VONNEGUT, Mattatoio n. 5

Qualche tempo fa, ho commentato Dio la benedica, Mr. Rosewater (o Perle ai porci), di Kurt Vonnegut. Non trovo più il commento, dunque mi ripeto: amo incondizionatamente Richard Yates, l'autore di Revolutionary road e della raccolta di racconti Undici solitudini. Molti anni fa, lessi per caso - non so dove - che Kurt Vonnegut considerava i racconti di Yates capolavori... Così mi venne voglia di leggere Vonnegut, progetto sempre rinviato per dare spazio alla lettura di contemporanei italiani di successo. Bene, stanco di leggere bambinate inutili (non farò nomi), piagnistei di onanisti (ho fatto i nomi più volte, oggi no) e vera merda tipo La vita oscena di Aldo Nove, ho incominciato a leggere Kurt Vonnegut. Cosa rende grande uno scrittore? Risponde Richard Yates: "Le finestre", le illuminazioni sul mondo o meglio le illuminazioni provocate allo scrittore dall'osservazione del mondo e tradotte in frasi, paragrafi, che aiutano il lettore a comprendere verità a volte metafisiche. Kurt Vonnegut è di un'intelligenza straordinaria, non usa il sarcasmo come Céline ma il grottesco. In questo è un maestro. La descrizione al contrario (come un film che inizi con l'ultimo fotogramma e finisca col primo) del bombardamento di Dresda mi ha fatto piangere. Pagina 75 dell'edizione economica Feltrinelli, per intenderci. Qui impazza il neorealismo del cazzo, la merda del neomelodico, la nostalgia di Orietta Berti. Un colpo di pistola nella notte non è servito a niente: il gusto del pubblico italiano è rimasto bestiale. «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi (Tenco)». No, non aggiungo altro. Quello che penso delle maestrine che lavorano operose con la matita rossa e blu nelle principali case editrici lo tengo per me. Aldo Nove è il braccio (?) destro di Elisabetta Sgarbi, io un rancoroso fallito di 57 anni. Così va la vita. In quest'ottica, la preghiera citata da Vonnegut mi appare sublime: Dio mi conceda / la serenità di accettare / le cose che non posso cambiare, / il coraggio / di cambiare quelle che posso / e la saggezza / di comprendere sempre / la differenza. (Preghiera della serenità (Serenity Prayer), scritta nel XX secolo dal teologo protestante tedesco-statunitense Reinhold Niebuhr).

lunedì 13 gennaio 2020

C.V.

ALFREDO TOCCHI (alfredo.tocchi@gmail.com)
Nato a Milano il 25 giugno 1962, mi sono laureato in giurisprudenza all’Università Statale di Milano nel 1986 e ho conseguito un Master of laws alla University of Alberta di Edmonton nel 1988. Sono avvocato dal 1991. Sono stato socio dello Studio Carnelutti – Milano.
Nel 2008 ho rischiato di morire a causa di un’ischemia cerebrale. Mi sono risvegliato dal coma e ho deciso di diventare scrittore. Due anni e un’operazione al cuore più tardi, ho incominciato a scrivere.
Nel 2014, il mio romanzo d'esordio Confessioni di un pazzo di raro talento (Ed. dEste) è stato numero 1 nella classifica assoluta di Amazon (eBook gratuiti) ed è poi salito fino al numero 7 nella classifica assoluta (non di genere) eBook a pagamento, e nel frattempo è stato numero 1 su Mazy per più di quattro mesi (documento 1).
Il video di presentazione su Youtube è stato visto da più di 2000 persone, poi è stato rimosso su indicazione di Giuseppe Scaraffia e infine ripristinato (azzerando le visualizzazioni):
Confessioni di un pazzo di raro talento è stato recensito da David Frati per Mangialibri:
Sempre David Frati ha poi voluto intervistarmi:
La Professoressa Giovanna Romanelli – Presidentessa della giuria del Premio Cesare Pavese, ha recensito Confessioni di un pazzo di raro talento su Le colline di Pavese (documento 2).
Confessioni di un pazzo di raro talento è stato recensito anche da Cristina Biolcati per Nuove Pagine:
Sempre Nuove Pagine (Maria Ausilia Gulino) mi ha poi intervistato:
Infine, Confessioni di un pazzo di raro talento è stato recensito da Sabrina Minetti per Mondo Rosa Shokking:
Col mio secondo romanzo (Dimmelo domani, inedito) ho vinto il Premio Cesare Pavese Sezione Narrativa Inedita nel 2012 e sono stato finalista al Premio Guido Morselli e al Premio Mondoscrittura.
Ho ricevuto menzioni di merito a Giallostresa per il racconto Una seconda chance e al Premio Cesare Pavese per la raccolta di racconti La principessa del carnevale di Rio (Aracne Narrativa), recensita recensito da David Frati e da Cristina Biolcati per Mangialibri e Nuove Pagine:
Il mio terzo romanzo Husserl e le notti di Milano (pubblicato da Zerounoundici col titolo Undici al 17) è stato recensito da David Frati e da Cristina Biolcati per Mangialibri e Nuove Pagine:
Un mio contributo è stato pubblicato sul volume dedicato al Premio Cesare Pavese dalla Professoressa Giovanna Romanelli (Cesare Pavese, La storia di un premio, Ed. Gangemi).
Un mio racconto è stato pubblicato nella raccolta Le prime volte, Ed. Mondoscrittura:
Un altro è stato postato su Nuove Pagine:
Vari racconti sono stati postati su Varese può e Dissensi e discordanze, ad esempio:
Una mia breve biografia, corredata di una fotografia insieme al mio cane Wigo, compare sul volume Italian portraits (Ed. Skira).

Ho schede di valutazione estremamente positive redatte da Mondoscrittura di Tra un anno sarò felice (documento 3 - Tra un anno sarò felice e Confessioni di un pazzo di raro talento sono lo stesso romanzo), e dall'Agenzia Malatesta (documento 4) dell'ultimo romanzo L'uomo di seta.

giovedì 9 gennaio 2020

Prefazione al romanzo Dimmelo domani, Professor Mario Caccamo


Sono amico dell’autore. E non uso a caso o a sproposito la parola amico. Sono amico anche di un altro personaggio di questo libro, il Dottor Giordano (non uso il suo vero nome - naturalmente – e neppure il mio). Sono più giovani di me. Non soltanto anagraficamente. Loro sono come due ragazzini. Oggi si parla tanto della “sindrome di Peter Pan”: nulla di tutto ciò. Entrambi sono professionisti affermati, nel loro campo. Ciò nonostante, ogni serata che scendono al “condominiale” è speciale. La monotonia di un ristorante pieno a mezzogiorno ma frequentato dai soliti habitué la sera è spezzata da questa coppia – una vera strana coppia – di ragazzini cinquantenni. Gli scherzi, le battute, la loro gioia di vivere sono una benedizione, soprattutto per chi – come me – vive da solo e non ha più molte occasioni sociali. Ho letto volentieri le bozze di questo romanzo (come avevo letto quelle delle precedenti pubblicazioni, il romanzo Confessioni di un pazzo di raro talento e il racconto Celeste) e ho cercato di dare il mio modesto contributo. L’ho fatto con piacere, non soltanto perché stimo l’autore – uomo che ha sofferto, migliorandosi con coraggio -  ma perché farlo è stata un’occasione per trascorrere molte sere con lui e con il Dottor Giordano. Le risate che ci siamo fatti insieme sono veramente benedette. L’autore ha sopportato con pazienza – come fa sempre – l’esuberanza scherzosa del Dottor Giordano. Ovviamente, la correzione delle bozze si è svolta al “condominiale” e ha via via coinvolto tutti, proprio tutti. Non soltanto il cuoco Pasquale, la Signora Anna e tutto lo staff del bar di Via Corridoni, Bruno e Oscar per primi. Ma anche avventori capitati lì per caso, come – in una serata veramente indimenticabile – una vedova di Benevento che Giulio si è poi portato a casa. Sì, il mondo di Giulio è – come scrive lui stesso - orgasmocentrico. Ma non bisogna considerare questo romanzo come uno scritto divertente: è molto di più. Prima di tutto, è uno scritto sull’arte: memorabile il ritratto di Luigi Sonzini, uno straordinario pittore, un dandy ancora vivente. Poi, vi sono seminate qua e là considerazioni che – anche per me che le ho lette e rilette – sono sempre profonde e illuminanti. Perché l’autore è un Suchende, un uomo che cerca, ragionando, di svelare l’essenza delle cose. Giulio, con il suo inseparabile cane Wigo. Il Dottor Giordano, autore di articoli pubblicati dal più noto quotidiano italiano e soprattutto uomo arguto e colto. Con orgoglio scrivo “i miei amici.” Lo scrivo anche se nella descrizione del mio personaggio Giulio non mi ha fatto sconti. Ma, si sa, la finzione letteraria non è la vita. E questo libro è una fiaba, scritta da un poeta decadente, maturato ascoltando musica dei Cure – per lui vera poesia contemporanea. Rubando le parole del Dottore, chiudo questa mia breve prefazione: se c’è una morale in questa fiaba moderna, è che ci sono molte persone sole. Ma, a volte, offrendosi agli altri con coraggio, la solitudine può essere sconfitta e si può godere pienamente la vita. E se a Milano non ci sono femmine (la parola usata da lui, naturalmente, era un’altra) per tutti, basta cercarle all’estero, sui siti per incontri. Ricordandoci che, come pensa Giulio, “se possiamo darci a una sola persona, dobbiamo darci a qualcuno che ci meriti.”
(Professor Mario Caccamo)