lunedì 30 giugno 2014

Sinossi Tra un anno sarò felice

Nel 2008, Giulio di Tocco, 46 anni, avvocato internazionalista, socio di un prestigioso studio milanese, si alza la mattina, si veste e mentre sta per uscire dal bagno crolla a terra, fulminato da un'ischemia cerebrale. Capisce ciò che gli sta succedendo (ha già avuto un ictus nove anni prima) e decide di trascinarsi sul suo letto - dalla sua parte del letto che divide con l'adorata moglie Paola - e di morire. Arrivato a fatica ai piedi del letto, entra in coma, certo di essere morto. Il giorno successivo si risveglia in terapia intensiva, insieme ad altri sette moribondi. Il mese successivo viene operato al cuore e resta sette mesi convalescente sopra il divano di casa, mentre la moglie chatta con gli amici palermitani, terrorizzata dall'orrore della situazione. Giulio si riprende, se ne va di casa e inizia una vita diversa da quella che aveva vissuto fino a quel giorno, perché, come scrisse il suo scrittore preferito, Gregor von Rezzori: "Dopo il risveglio dal coma ho perso il mio posto nel mondo". In una casa vuota, prestata da un cliente, Giulio dorme per terra, su un materasso dell'Ikea senza lenzuola, ma legge Gregor von Rezzori e Ludwig Wittgenstein. Da quel materasso, come un naufrago, ricomincia a vivere. Agnostico, crede che l’amore sia l’unica consolazione contro l’orrore del mondo, proprio come Voltaire. Quindi, decide di andare “a cento scopate di distanza” da sua moglie Paola, perché “il pelo asciuga le lacrime”. Un’avventura dopo l’altra, tra siti per incontri e bordelli ticinesi, sorprenderanno il lettore, sempre più coinvolto negli amori – a volte assurdi – del “principe innamorato di una puttana”. Forse Giulio è impazzito, o forse è lucidissimo. In un ottovolante di emozioni, con un’arguzia rara e uno stile cristallino, l’autore ci fa vivere la straordinaria avventura di un protagonista indimenticabile, guadagnandosi il soprannome di “pazzo di raro talento”. Alfredo Tocchi è così, non diverso dal suo alter ego Giulio di Tocco: un uomo profondo e sensibile, che ha scritto in prosa soltanto per quattro anni, dal 2010 al 2014, completando la trilogia Ciò che non è stato, composta dai romanzi Tra un anno sarò felice (rinominato da dEste Edizioni Confessioni di un pazzo di raro talento), Dimmelo domani e Dove fuggire e la raccolta di racconti La principessa del carnevale di Rio. Nel 2012 ha vinto il Premio Cesare Pavese sezione narrativa inedita e nel 2013 è stato finalista ai Premi Guido Morselli e Mondoscrittura. Nel 2014 Confessioni di un pazzo di raro talento (dEste Edizioni) è stato 1° assoluto su Amazon eBook gratuiti, 9° assoluto su Amazon eBook a pagamento e 1° assoluto su Mazy ininterrottamente per più di quattro mesi. Confessioni di un pazzo di raro talento è stato recensito, tra gli altri, da Giovanna Romanelli sulla rivista Le colline di Pavese (aprile 2014), Sabrina Minetti su Mondo Rosa Shokking, Mondoscrittura sul sito omonimo, Cristina Biolcati su Nuove Pagine e David Frati sul sito Mangialibri. Nel giugno 2014 annuncia che non scriverà e non pubblicherà più, in polemica con le case editrici che impongono l'editing ai loro autori e si auto pubblica su Amazon il secondo e il terzo romanzo della trilogia, Dimmelo domani e Dove fuggire. Successivamente si auto pubblica, sempre su Amazon, La principessa del carnevale di Rio e altri racconti. Una fotografia di Alfredo Tocchi insieme al suo cane Wigo compare sul volume Italian portraits (Skira Editore). Il video di presentazione del suo primo romanzo è visibile su Youtube. Ad oggi è stato scaricato da più di 1600 persone. ► 41:34 www.youtube.com/watch?v=ApKkzof2P_s Professor Mario Caccamo

mercoledì 18 giugno 2014

Scarafaggio

Mi sono svegliato presto, alle prime luci dell’alba. Nudo, sono sceso in giardino con Wigo, fino alla darsena. Una leggera brezza mi fa rabbrividire. Mi appoggio al parapetto e guardo il lago. Uno svasso s’immerge e riemerge venti metri più lontano. La sua vita è quella: nutrirsi, riprodursi, morire. Perché la mia dovrebbe essere diversa? E’ tutto semplice, dovrei vivere “…naturalmente come il vento e il giorno” (Fernando Pessoa). Ho un’anima che mi rende diverso? Davvero gli svassi sono tutti uguali? L’anima mi dà il diritto di distruggere tutto prima di andarmene? E’ vero, la vita non è sempre uguale. E’ sempre diversa, unica. Ma c’è un limite e io credo che stia nel non distruggere il mondo. Non mi sono svegliato scarafaggio, mi sono svegliato uomo. Allora perché provo questo ribrezzo per ciò che sono, per ciò che siamo? La religione teorizza la mia somiglianza al Dio creatore. Allora perché io sono un distruttore? Crescete e moltiplicatevi. Senza un limite? Fino a diventare bestiali e infestanti, il peggior nemico per la vita? Oggi non indosserò il mio orrendo travestimento da scarafaggio, abito grigio e scarpe nere. Oggi me ne starò qui, nudo a riflettere su come dovrei vivere. Mentre sei miliardi di scarafaggi continueranno la loro spaventosa opera di distruzione, uno scarafaggio si porrà domande a cui in molti hanno provato a rispondere. Lo so, cinque sensi non mi bastano per capire. E l’anima non so cosa sia. Ma non giustificherò il mio comportamento con qualche idiota precetto religioso, non sarò presuntuoso al punto di credermi simile al Dio creatore. Mi sono svegliato presto, alle prime luci dell’alba. Mi sono svegliato uomo. E questa grande bellezza che muore a causa dell’uomo mi fa rimpiangere di non essermi svegliato scarafaggio.

giovedì 12 giugno 2014

Maudit

La mia storia, le nostre storie, non interessano a nessuno. Giuseppe Catozzella si avvia a vincere lo Strega con la sua storia di un'atleta somala. Meglio lui di Francesco Piccolo, naturalmente. Ma c'è da riflettere. Incompresi, derisi, vilipesi, offesi scompariamo come le lucciole e i cervi volanti, tacciati di volgarità per avere rimarcato, da un materasso dell'Ikea senza lenzuola al centro di un appartamento vuoto, prestato da un cliente, la nostra appartenenza a quella borghesia che muore giorno dopo giorno. I borghesi superstiti di solito non sanno leggere e i poveri cristi che i borghesi detestano trovano volgari le nostre ostentazioni di scuole private, titoli universitari, viaggi, frequentazioni, oggetti quotidiani. Forse perché sanno che di noi invidiano scuole private, titoli universitari, viaggi, frequentazioni, oggetti quotidiani. La nostra scomparsa non commuove, non è degna di pubblicazione presso editori importanti. Chissenefrega del lamento del borghese, per un secolo la borghesia è stata la classe sociale più incompresa, derisa, vilipesa, offesa e combattuta. Evviva il proletariato. Io muoio da borghese, rivendicando la mia appartenenza con orgoglio e sputando sul pensiero unico demente e sulla volgarità di chi non è come me e di chi è come me. Quando ho deciso di scrivere - a qualcuno è sfuggito - io avevo già un mio stile maturo e ho scelto ogni incipit con cura maniacale: "Finirò male perché sono un maudit. Ma, in fondo, cosa significa? Qualcuno forse finisce bene?". Io ho perso tutto, avevo già perso tutto quando da quel materasso dell'Ikea ho iniziato a scrivere - di notte - la mia storia. Una storia che non interessa a nessuno, che non fa breccia come quella di una ragazza somala. Meraviglie della globalizzazione, del dolore universale e televisivo. Con cinismo, dovrei narrare storie di orfane etiopi, di infibulate nigeriane e gay russi bastonati da padri severi. Iscrivermi al PD e sparare a zero contro la mia classe sociale, per tornare a farne parte, come un Baricco che dalla sua villa in Sardegna manda una lettera alla Presidentessa della Giuria del Premio Cesare Pavese per annunciarle che non presenzierà alla serata finale per problemi di baby sitter. Io non ho baby sitter, né ville in Sardegna, io sono un maudit. Lathe biòsas (vivi nascosto) è il mio motto. Tanto, a nessuno interessa come vivo o come crepo. E' sorprendente che io non scriva più? Tre romanzi e una raccolta di racconti possono bastare: sarebbe sorprendente se io scrivessi ancora.

La madre dello Scrittore

Ho conosciuto la madre dello Scrittore. Ero in fondo alla sala. La presentazione è stata molto bella. Lo Scrittore è un Uomo. Ha stile. D'Orrico l'ha detto ed è vero. Non credevo, ma ha stile. La madre è venuta verso di me, io ero appoggiato al muro, silenzioso. Però ero uno degli unici due in giacca e cravatta - insieme al gagà sorrentino di Mondadori - e la madre forse ha pensato che fossi qualcuno. Si è tradita: è una donna semplice che giudica le persone da un abito blu e una cravatta. Mi ha stretto la mano, si è presentata e l'ho fatto anch'io. Le ho detto la verità: "Suo figlio è stato bravissimo questa sera". Era orgogliosa, senza titubanze o riserve. Ha annuito. E' lei che lo ha educato, che gli ha trasmesso la passione per i libri, la musica e il teatro. E' fiera di lui, l'ha cresciuto da sola. Mi ha parlato con serietà, mi ha stretto la mano una seconda volta e se n'è andata. L'ho osservata da dietro, uscire dalla sala: abito elegante, calze contenitive. E ho capito che anche suo figlio giudica le persone da un abito blu e una cravatta. Non voglio essere frainteso, è una cosa all'antica e conservatrice, ma fatta in un certo modo mi piace. E' il rispetto dovuto alle persone che si curano, il rispetto tributato da Jean Giono verso L'uomo che piantava gli alberi, il rispetto per chi rispetta la forma, intesa non come vuota esteriorità, ma come manifestazione elementare di educazione. In quell'orgoglio e in quel giudizio basato su qualcosa di così desueto, ho compreso perchè non sarò mai lo Scrittore. Io ho imparato a snobbare sempre tutto e a dubitare di me stesso. Non ho avuto una madre semplice e decisa, ma una ipercritica e snob. La mia autostima, già minata dai disastri paterni, è stata erosa dalla mancanza di fiducia in me di mia madre, dal suo continuo giudicarmi, paragonarmi all'unico suo metro di giudizio: suo padre. E' questo il segreto dei miei improvvisi scatti d'orgoglio, capaci di sorprendere anche me, a quasi 52 anni. Io non sarò mai leggero, nel senso indicato nelle Lezioni americane da Italo Calvino. E' un limite, lo capisco. Ma siamo ciò che siamo stati e capire i perchè non è mai facile. Questa sera un bambino intelligente ora Scrittore dormirà sotto lo stesso tetto di una vecchia madre conformista. Sono due persone educate, per bene. Ma lui è un artista e vuole esserlo davanti al mondo. Per questo sceglie di marcare la sua differenza, la sua unicità con cappelli colorati e giacche arancioni, per dirle: "Mamma, tuo figlio è l'uomo che questi signori in giacca e cravatta leggono e ascoltano." E sua madre è orogogliosa e felice. La mia lo sarebbe soltanto se io somigliassi a suo padre. Ma io non somiglio al nonno e se anche mi vestissi d'oro non sarebbe orgogliosa e felice. Sono un anticonformista vestito da conformista. Non mi vestirei mai di nero come Paulo Coelho. Ho letto Psicologia dell'abbigliamento di Fluegel, e dalle mie scelte traspare soltanto la voglia di semplicità, qualità e cura che è indice di sincerità e rispetto per gli altri. Lo Scrittore è diverso da me, ma ho voluto bene a lui e a sua madre, in questa afosa serata di giugno.

martedì 10 giugno 2014

Metamorfosi

Giovane, intuivo ciò che potevo diventare. Con fatica, lo sono diventato. Adulto, ho perso ciò che ero. Intuivo ciò che volevo diventare. Con fatica, lo sono diventato. Ma tutte le strade conducono a un unico punto, la disillusione. Il vero artista è colui che crede assolutamente in se stesso, poiché egli è se stesso. (Oscar Wilde, De Profundis). Perché lo stile è così importante? E' l'unica cosa che ci resta (Charles Bukowski). Lo stile di uno junker ridotto al mediocre piattume della borghesia, per vendere qualche copia in più. Sbagliare è umano, perseverare diabolico: non pubblicherò più: meglio inedito che mutilato. Si critica persino come mi vesto, dimenticando che la mia fotografia su Italian Portraits è stata commentata in Francia (L'Express) e negli Stati Uniti (Esquire U.S.) e taggata su 31 siti. Me ne andrò per il mondo col mio British warm del 1943, come un ufficiale dell'esercito dei poveri, alla ricerca di ciò che veramente conta. Wiga lavora in un night a Londra. Masha è rimasta tre mesi. Voleva un figlio, io no e questo ha avvelenato il nostro rapporto. Ma io so che ci saranno ancora giornate di sole e saremo in due, di nuovo in due, finalmente in due. Finirò il mio romanzo e smetterò di scrivere. Senza disperazione, con rassegnazione: non dovevo fare "l'errore Monti", chi è elitario non può essere popolare. I maudit non firmano autografi. La bellezza di Rimbaud è un frutto stupendo e avvelenato. Non mangerò alla festa di paese, ospite al tavolo del sindaco. "Vivi nascosto" e forse all'ultima inaspettata metamorfosi vivrai finalmente la leggerezza della farfalla. Durerà un giorno soltanto, ma sarà magnifico. Altrimenti, va bene lo stesso.