lunedì 16 dicembre 2019

La donna che aspettava (Andrei Makine)

Leggenda vuole che due monaci abbiano incontrato Andrei Makine e gli abbiano detto che lui nel suo campo (la letteratura) ha raggiunto lo status di santo. Come tutti gli episodi nella vita di questo autore senza nome (Andrei Makine e Gabriel Osmonde sono entrambi nomi d'arte), potrebbe essere inventato. Santo, mendicante che scrive il suo capolavoro nella cappella del cimitero Père-Lachaise, soldato ferito in combattimento risvegliatosi dal coma, orfano o figlio di internati nei gulag cresciuto da una nonna francese... Ciò che conta è l'opera. E l'opera è sublime. La donna che aspettava è un'opera d'arte tanto semplice e perfetta da lasciare il lettore terrorizzato davanti all'insensatezza della propria vita. Mi permetto di paragonarla a Suicidio di Edouard Levé, per la straordinaria forza espressiva. Entrambi sono artisti che hanno il coraggio di essere se stessi fino in fondo (Levé fino al suicidio, pochi giorni dopo avere firmato il contratto editoriale). Immergersi nelle pagine di Makine è un'esperienza estrema: letta la fine, ho alzato gli occhi e mi sono stupito di essere a Milano, sul divano di casa. Il paese di Mirnoe, la quiete della taiga, le sponde del Mar Bianco e Vera, la donna che aspetta il ritorno del suo uomo... Tutto era stato così reale che risvegliarsi a casa propria non sembrava possibile. La Russia di Makine è un luogo geografico e dell'anima allo stesso tempo. E' la Donetsk in primavera che ricorderò per sempre, la prima notte d'amore a Mosca con mia moglie, il lago d'autunno, l'infanzia piena di sogni di un bambino malinconico. Davanti a un vero capolavoro s'intuiscono verità assolute. "A un certo livello di prostrazione, la vita smette di essere cose. La realtà... diventa verbo. A un certo grado di sofferenza, il dolore ci consente di vedere pienamente la bellezza immediata di ogni istante... Forse è a quel punto, soltanto a quel punto che la necessità di fissarla in un libro diventa assoluta."