giovedì 21 maggio 2015

Professor Mario Caccamo

 
Quattro anni fa, quando Alfredo Tocchi mi regalò al ristorante che lui chiamava condominiale una copia del suo romanzo d’esordio Tra un anno sarò felice, restai negativamente impressionato dall’incipit: “Finirò male perché sono un maudit. Ma in fondo, cosa significa? Qualcuno forse finisce bene?”. Per un vecchio professore in pensione come ero io, il fatto che quell’uomo apparentemente tanto borghese, ordinario, si fosse definito maudit appariva uno smisurato, ingiustificabile gesto d’orgoglio. Letto il romanzo, compresi che l’autore aveva effettivamente subito uno scherzo del Destino (con la d maiuscola – come usa lui), ma ciò nonostante rimasi della mia opinione: non ci si proclama uomini appartenenti alla stessa categoria letteraria dei Baudelaire, Rimbaud, Hamsun e Céline da semplici esordienti. Tra un anno sarò felice è un bel romanzo, ma ci vuole ben altro per definirsi maudit. Nelle mie conversazioni con l’autore, sempre al tavolo del condominiale, l’ho indirizzato alla lettura di Hamsun e Céline, che non conosceva. Tocchi è così, un autodidatta che rifiuta di iscriversi a corsi di scrittura creativa e legge di tutto – dai romanzi ai trattati di filosofia – in un ordine assolutamente casuale. Quando, in una memorabile serata (Tocchi aveva abbordato una vedova di Benevento e l’aveva fatta ridere fino alle lacrime) mi domandò: “Professore, non crede che dopo avere terminato il mio romanzo io possa scrivere qualsiasi cosa?”, io gli risposi, laconicamente: “No.” Lui, che probabilmente ci era rimasto male, si fece una risata, accarezzò Wigo (il suo inseparabile Lakeland Terrier) e se ne andò a casa, lasciando tutti – e in particolare la vedova di Benevento – un po’ più soli, un po’ più tristi. Nonostante il mio evidente scetticismo per le sue capacità artistiche (sono un uomo disilluso che conosce il mondo dell’editoria), in questi quattro anni ho letto tutto ciò che Tocchi ha scritto. Ora, dopo la versione edita da Aracne dei racconti, ho letto l’inizio del romanzo – scritto in inglese - L’éléphant.

Forse sarà perché oltre a conoscerne l’opera ho avuto modo di sapere qualche cosa della vita di questo autore (i suoi problemi di salute, il risveglio dal coma, i due matrimoni, l’abbandono da parte di tutti – famiglia, soci, amici – nel suo momento più difficile), o forse sarà perché ora l’opera si compone di tre romanzi (riuniti nella trilogia Ciò che non è stato), molti racconti e due nuovi romanzi incominciati (La fenomenologia di Husserl e le notti di Milano e, appunto L’éléphant), ma io mi azzardo ad affermare che l’incipit di Tra un anno sarà felice ha qualcosa di profetico. Rammento un saggio di Francesco Piga (La verità di Céline: la notte e la morte) in cui si enumeravano le stimmate caratteristiche dei grandi scrittori: “Le persecuzioni da parte di coloro che nel loro quieto vivere si sentono irritati da uno spirito anticonformista e polemico, l’inappagato desiderio di libertà totale per una meditazione in solitudine, lontano dagli ambienti in cui tutte le classi sociali … perseguono con avidità gli stessi miseri privilegi, la ricerca laboriosa di uno stile personale per esprimere emozioni e ossessioni … il risultato di una scrittura dai contenuti mai consolatori ma scomodi e disperanti.”

Aggiungo, nel caso di Alfredo Tocchi, la costante presenza della morte, amplificata dall’esperienza vissuta nel reparto di rianimazione, la disperata ricerca di comprensione da parte di coloro che lui chiama poeticamente “sconosciuti amici”, l’incapacità di vivere in solitudine con la conseguente idealizzazione di tutte le donne e l’ossessione di quell’”Essere in due, di nuovo in due, finalmente in due” tanto ricorrente nei suoi scritti, l’amore per la figlia Celeste e per il cane Wigo, il rimpianto per un passato prossimo che non tornerà mai più, l’attaccamento ai luoghi della propria infanzia unito alla curiosità del vero viaggiatore (davvero degne di nota le pagine su Kiev e su Donetsk). L’attenzione di Tocchi al dettaglio ha del patologico. Mi dice, citando Céline (che ora ha letto e amato): “Io sgobbo sul pezzo.” Del racconto Una seconda chance, scritto in tre giorni per partecipare a un concorso letterario (limite imposto 30.000 battute), ho letto non meno di dieci versioni: l’autore ha lavorato per mesi al miglioramento di quindici pagine!

Oggi, quando penso a Alfredo Tocchi, non penso più a un orgoglioso esordiente. Vedo un talento non ancora del tutto sbocciato e spero che nei prossimi anni l’opera maturi fino a giustificare quel profetico incipit. Altrimenti, ci resteranno alcune pagine magnifiche, personaggi indimenticabili e i pensieri di un puro anticonformista. E andrà bene lo stesso.

Mario Caccamo, 17 maggio 2015