giovedì 11 settembre 2014

Lettera al mio giudice

"Tutte quelle cose messe insieme, quelle piccole conquiste, quelle speranze di un altro miglioramento, quell'attesa di piaceri superficiali, di piccole gioie, di soddisfazioni banali, ha finito col riempire cinque o sei anni della mia vita." (Georges Simenon, Lettera al mio giudice). Poi, l'improvvisa oscenità della malattia, la perdita di quelle piccole conquiste, la paura che ha di colpo sostituito le speranze, tutto questo ha squarciato il velo dell'illusione, rivelato l'essenza della vita, l'indispensabilità di condividere il dolore, i sentimenti profondi. "Ho cominciato a guardare anche la mia casa e mi sono chiesto perché fosse la mia casa, che cosa mi legasse a quelle stanze, quel giardino, quel cancello ornato da una targa d'ottone su cui c'era il mio nome." E un giorno me ne sono andato, perché tutte quelle cose messe insieme che avevano costituito la mia vita non contavano più nulla, non colmavano, neppure in parte, il vuoto, il freddo che mi aveva lasciato l'esperienza della mia morte, il mio risveglio dal coma. Tutto ciò che pensavo di desiderare era stordirmi tra le braccia di una donna. In quello slancio di vitalità misto a disperazione ho amato non una, molte donne. A volte riamato, altre soltanto compatito, quasi mai capito. Ma in quei momenti il mio letto rappresentava il mondo, e noi eravamo in due. "Due che non si conoscevano, che non avevano nessun interesse in comune: due che il caso aveva riunito per un attimo, frettolosamente." Due che si amavano concedendosi a uno sconosciuto, consolandosi come possono fare due esseri umani stretti uno all'altro. Dandosi "per qualche ora la sensazione dell'infinito", nell'assoluta consapevolezza che nulla è infinito e anche quell'effimera consolazione, quella felicità di un istante sarebbe volata via. Ma "ora eravamo nello stesso letto, pelle a pelle, con le finestre chiuse, e al mondo c'eravamo soltanto noi due." In quegli istanti, ho scoperto che l'amore è l'unica medicina contro l'orrore della disillusione, il vero, unico senso della vita, lo strumento per la prosecuzione della vita stessa.