mercoledì 22 aprile 2015

Vita intelligente

Nell'universo, esistono forme di vita intelligente? La domanda è di estrema attualità, dato che qui sulla terra siamo ormai quasi del tutto idioti. Sono pronto per andarmene e scommetto che lo farò con una risata, come l'altra volta (quando poi mi sono risvegliato - lì sì che è stata dura). Così non starò a guardare quando dopo la distruzione delle statue inizieranno i roghi dei libri. Come in Autodafé di Elias Canetti, ma peggio. Prima bruceranno la bibbia (un libro per l'umanità bambina, molto noto perché ben pubblicizzato: una copia in ogni camera d'albergo americana). Poi passeranno a libri più seri. Certo, sarei lusingato se bruciassero anche i miei, ma dato che sono rarissimi, difficilmente ne troveranno da bruciare (qualcuno li avrà già usati per pulirsi il culo, pare che i nuovi barbari non conoscano la carta igienica). L'uomo che ha messo piede sulla luna annega a tre metri dalla spiaggia di Rodi e la cosa - non esagero - mi ha fatto piangere. Non voglio scrivere di politica internazionale, di diritti umani, di leggi sull'immigrazione: in fondo, sono un avvocato internazionalista e oggi chi sa qualcosa non viene ascoltato. Lascio i commenti alla Santanchè e la replica alla Parietti (e tutti i giornali a riportare la notizia!) Sì, morirò ridendo della vita e certo di non averne a disposizione un'altra. In fondo, non me ne importa assolutamente nulla.

sabato 18 aprile 2015

Due


Seduto sulla panchina, proprio sotto il ciliegio fiorito, lui pensa che finalmente il Destino gli ha riservato una pausa di felicità. Wigo non ne vuol sapere di alzare il muso, se ne sta accucciato ai suoi piedi e lo fissa, aspettando di essere liberato dal guinzaglio, per correre nel prato.

Lei li inquadra nell’obbiettivo della macchina fotografica e pensa che forse è ora di lasciarli, di tornare in Kazakistan. Il raggio di sole che illumina il volto di lui ne evidenzia le rughe, le occhiaie scure, la stanchezza. Inizia a invecchiare e lei non vuole sprecare la sua vita accanto a un vecchio, a un uomo che s’illude di essere uno scrittore ma non riesce a diventarlo.

Lui pensa che in fondo è fortunato, che lei è bella, giovane, piena di gioia di vivere. Sorride davanti all’obbiettivo – il suo sorriso timido e un po’ storto – e dà una carezza a Wigo.

Lei scatta la fotografia, la guarda e la trova brutta, così li inquadra di nuovo e ne scatta una seconda. Ora è il suo turno di sedersi sulla panchina, vuole una fotografia sotto il ciliegio fiorito da mandare a sua madre e da postare su Facebook, per far sapere a tutti che sta bene, è bella e felice in un parco di Milano, in questa giornata di primavera.

Lui odia fare fotografie, ma s’impegna: lega persino Wigo all’albero perché non dia uno strattone mentre scatta. La vede nell’obbiettivo, sorridente ed è fiero che sia diventata sua moglie. L’ha sposata contro il parere di tutti: parenti, amici, colleghi. “E’ troppo giovane, probabilmente è soltanto alla ricerca di un pollo da spennare”. No, lui non è un pollo. Non ha più nulla, nemmeno una casa e ha considerato tutte le ipotesi. Ora, quattro mesi dopo le nozze, vive ogni notte con lei come un regalo. Ha conosciuto la solitudine, ha conosciuto l’amore. Non è un uomo capace di bastare a se stesso, ha bisogno di condividere le sue gioie – e i suoi dolori – con la donna che ama. E la ama, sinceramente.

Anche lei lo ama, ma non può sacrificare la sua vita per lui. Lui non ha più illusioni – eccetto quella assurda di diventare uno scrittore. Non ne vuole sapere di lavorare tutti i giorni, di ricominciare a fare l’avvocato. Poi è malato, lei lo ha visto alzarsi di notte, non una ma tante volte e andare in cucina a prendere di nascosto una medicina, prima di tornare a letto e rannicchiarsi in un angolo, sforzandosi di controllare il dolore. E’ troppo giovane per tutto questo, lo ama ma deve fuggire prima che sia tardi, che anche le sue illusioni svaniscano.

Lui scatta tre fotografie e le porge la macchina fotografica. Sono riuscite bene: persino la città è magnifica in questa giornata di primavera e quel ciliegio rosa è al culmine della sua fioritura. Pochi giorni e tutto svanirà, i petali cadranno e poi sarà subito autunno. Il tempo c’insegue, non dobbiamo sprecarlo. La nostra vita è unica, dobbiamo godercela.

Ora, tenendosi per mano, camminano verso il centro del parco. Wigo trotterella davanti a loro, finalmente libero. Anche lui, istintivamente, sa che i minuti di libertà sono rari, bisogna farne tesoro. Conosce la noia delle giornate trascorse a sonnecchiare sul divano o accucciato ai piedi del suo padrone. Chi li vedesse, penserebbe: “che bello, sono in due”. Invece ciascuno dei due è lontano dall’altro, vicino e lontano. Forse, se si parlassero, riuscirebbero a riannodare quel legame che – tra mille sconosciuti – li ha uniti. Ma ciascuno ha i suoi pensieri e condividerli con l’altro non sembra opportuno: lui svelerebbe la sua disperata fragilità, lei la sua dolorosa insoddisfazione.

Mezz’ora più tardi, sono di nuovo in casa. Lei è davanti a Skype, parla con sua madre. In Kazakistan fa freddo, la primavera è ancora lontana.

Lui è in cucina. Ama cucinare per lei. Senza di lei, preferiva un piatto al ristorante: troppo triste sedersi a tavola davanti alla televisione. Ha apparecchiato la tavola con cura – come sempre - e le ha cucinato pasta al tonno, uno dei suoi piatti preferiti. Tutto è pronto. Con ancora indosso il grembiule, si affaccia alla porta della sala e la chiama: “Tanya, è pronto”.

Lei saluta in fretta la madre: le ha raccontato che va tutto bene, che c’è il sole e fa caldo. Sa che sua madre è finalmente tranquilla: sua figlia è lontana ma finalmente sposata. Lui sembra un uomo gentile. E’ un po’ troppo vecchio, ma forse è un bene, terrà a bada l’irrequietezza di sua figlia. Va in bagno a lavarsi le mani e – guardandosi nello specchio – pensa che forse tra poco troverà il coraggio di lasciarlo.

Lui non sospetta nulla, ma sa che l’amore può finire. Sa che tutto può finire, che nella vita nulla è per sempre. Sa che l’uomo ragiona per contrasti: se non si conosce la solitudine, non si apprezza abbastanza l’essere in due. Scola la pasta e la porta in tavola. Sorride mentre stappa una bottiglia e versa due bicchieri di vino.

Lei lo fissa e quel sorriso le toglie il coraggio di parlare. Quel sorriso – forse – ha rinviato la fine di un amore.

Mangiano in silenzio. Tutto è perfetto, come sempre, perché lui è un bravo cuoco. Quando lui le domanda: “Hai voglia di andare a mangiare un gelato?” Lei, senza esitazioni, quasi dimenticando tutto il resto, gli risponde: “Sì”.     

giovedì 9 aprile 2015

Premio Guido Morselli 2

"Riuscire a trasformare le vicende della propria vita in racconto è una grande gioia: forse l'unica felicità che un essere umano possa trovare su questa terra". (Karen Blixen). "Caro Professore, Lei mi scrive cose magnifiche e non immagina neppure quanto sia importante, per me, in questo momento. L'unica casa che io abbia mai sentito come "mia" (non lo è stata mai), è quella dei miei bisnonni, nonni, zii, genitori tante volte fotografata (anche qui sopra, dal terrazzo). Non esagero, è una fortezza Bastiani invasa dai tartari. Il dolore che mi provocano i brevi periodi al lago non è di nessuna utilità, non è materiale da cui possa trarre racconti. Eppure, guardandomi intorno, osservo che anche nelle altre ville familiari si consumano piccole tragedie quotidiane dovute alla suddivisione in particelle sempre più minuscole e soprattutto al sovrapporsi delle generazioni. C'è stato un tempo felice in cui i nonni morivano vecchi a sessant'anni e le nonne piangevano per trent'anni i mariti senza imporre mutamenti epocali. Ora quattro generazioni di familiari e congiunti (quasi estranei: nuore, generi, cognate e cognati) girano per il giardino in fazioni armate pronte a litigare per un tavolo lasciato un metro più lontano dal lago o un'altalena rotta da un bambino. Agnostico, non posso pregare Dio di porre un limite a quest'allungarsi della vecchiaia. Naturalmente, l'Alzheimer giustifica i comportamenti di qualcuno. Ma un nonno che racconti alla nipote: "Tuo padre è sempre stato uno stronzo, proprio come tua madre", o una madre che dichiari: "Per forza voglio più bene a tua cugina" non sono giustificabili (e non lo dico perché mi sono preso dello stronzo). Quello stesso nonno racconta alla nipote che io sarei geloso perché lui è cortese con mia moglie quanto io sono assente. Certo, a quasi ottant'anni (tra un paio di mesi), si sente ancora il maschio dominante. Professore, cosa si può scrivere, ispirati da simili situazioni? Dovrei forse rifugiarmi nel fantasy? Trasformare tutto in un racconto quale gioia potrebbe darmi? Ho già scritto Dove fuggire, e non scherzavo. L'unica fuga è quella, Professore. Immancabilmente, lei mi risponderà che l'unica fuga è nella creazione artistica. Forse è vero, ma occorre essere artisti. Così, chi non lo è, può soltanto sperare di recuperare qualche istante di serenità facendosi ipnotizzare dalla Dottoressa Buhne: altrettanto utile ma più sano di viaggi artificiali. Ho orrore di tutto da molto tempo e se ancora sono qui a raccontarlo è perché nonostante tutto (e lei sa a cosa alludo) trovo la forza per andare avanti nell'amore per mia figlia, per mia moglie (la prima e la seconda) e mi piace osservare i contrasti e le sfumature. Ho sognato di essere uno scrittore, mi sono illuso, non dico di no. Ma ora sono certo che non esistono né esisteranno sconosciuti amici. Per questo, Professore, non manderò il mio inedito al Premio Guido Morselli. Un abbraccio, A."

mercoledì 8 aprile 2015

Il monologo del colonnello Kurtz

"Ho osservato, una lumaca, che strisciava sul filo di un rasoio, e’ un sogno che faccio, è il mio incubo, strisciare scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere. Ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei, ma non avete il diritto di chiamarmi assassino, avete il diritto di uccidermi, questo sì, avete il diritto di farlo ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario, a coloro ...che non sanno cosa significhi l’orrore. L’orrore. L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore, l’orrore e il terrore morale ci sono amici. In caso contrario, allora diventano nemici da temere. Sono veramente nemici. Ricordo quando ero nelle forze speciali, sembra siano passati mille secoli. Siamo andati in un accampamento per vaccinare dei bambini; andati via dal campo, dopo averli vaccinati tutti contro la polio, un vecchio in lacrime ci raggiunge correndo, non riusciva a parlare. Allora tornammo al campo, quegli uomini erano tornati e avevano mutilato a tutti quei bambini il braccio vaccinato. Stavano lì ammucchiate un mucchio di piccole braccia, e mi ricordo, che io ho, io ho pianto come, come una povera nonna, avrei voluto cavarmi tutti i denti, non sapevo nemmeno io cosa volevo fare. Ma voglio ricordarmelo non voglio dimenticarlo mai, non voglio dimenticarlo mai. E a un certo punto ho capito, come se mi avessero sparato, mi avessero sparato un diamante, un diamante mi si fosse conficcato nella fronte e mi sono detto: Dio che genio c’è in quell’atto, che genio. La volontà di compiere quel gesto, perfetto, genuino, completo, cristallino, puro. Allora ho realizzato, che loro erano più forti di noi, perchè loro riuscivano a sopportarlo, non erano mostri, erano uomini. Squadre addestrate. Questi uomini avevano un cuore, avevano famiglia, avevano bambini, erano colmi d’amore, ma avevano avuto la forza. la forza…di farlo. Se avessi avuto dieci divisioni di uomini così, i nostri problemi sarebbero finiti da tempo. C’è bisogno di uomini con un senso morale e allo stesso tempo capaci di utilizzare il loro primordiale istinto di uccidere, senza sentimenti, senza passione, senza giudizio, senza giudizio, perchè è il giudizio che ci indebolisce. Sono preoccupato che mio figlio non capisca quello che ho cercato di essere e se devo essere ammazzato, Willard, vorrei che qualcuno andasse a casa mia per dire tutto a mio figlio, per spiegare cosa sono stato, cosa ho fatto… perché non c’è nulla che detesti di più dell’odore marcio delle bugie. E se lei mi capisce, Willard, lei farà questo per me". (Apocalypse now).

Kurtz 1

Secondo il concetto anarchico di liberà, tutti gli individui hanno il diritto di ribellarsi, le maggioranze come le minoranze. Quando i barbari saranno maggioranza, crederemo ancora nella democrazia? E' soltanto questione di tempo. Verrà presto un giorno in cui noi occidentali saremo minoranza. In verità già lo siamo, ma non ancora a casa nostra. Che ne sarà quel giorno di tutte le nostre civilissime e spesso disapplicate o male applicate leggi? Sarà lecito - perché voluto dalla maggioranza - sposare bambine impuberi, vietare alle donne l'istruzione, essere poligami e mille altre barbariche usanze, aberranti per noi occidentali? Difenderemo ancora la democrazia, il suffragio universale e il principio di uguaglianza tout court (stravolgimento del concetto originario di uguaglianza davanti alla legge)? Io spero di non vivere la mostruosa epoca che ci si prospetta ineluttabile, ma se avrò così lunga vita da viverla, eserciterò il mio sacrosanto diritto di ribellione. Insomma, morirò "hot blooded Italian", com'ero definito quando all'Università dell'Alberta m'incazzavo con la mia professoressa di diritto internazionale. Le regole della buona educazione - si sa - sono utili tra affini. In nome della sua buona educazione, un cinese rutterà rumorosamente a fine pasto, io mi soffierò il naso e ci faremo schifo.
Occidente, svegliati, o verrai ucciso nel sonno!

martedì 7 aprile 2015

Professor Mario Caccamo

"Caro Alfredo, dal mio letto, penso alle nostre serate al condominiale e rimpiango quel tempo - non tanto lontano - in cui mi facevi leggere i tuoi scritti. Come sai, all'inizio ero scettico. Tu mi domandasti: "Professore, ora che ho terminato la parte autobiografica della trilogia, non pensa che potrei scrivere qualsiasi cosa?" Ti risposi: "No" ed ero sincero. Poi, davanti a Dimmelo domani e Dove fuggire, narrati da due diversi io narranti, ho compreso che alla fine del tuo percorso potrai lasciare la tua "impronta della mano nella caverna." I tuoi scritti restano impressi, alcune tue riflessioni le sento come mie, fanno parte di me: questa è la conferma che sei uno scrittore.  "Partì senza sapere dove andava, arrivò senza capire dov'era", la frase con cui Winston Churchill scherniva Cristoforo Colombo che hai inserito nell'epilogo di Tra un anno sarò felice, riassume magistralmente non soltanto la tua vita (quella era la tua intenzione) ma la vita di ogni uomo. Il tempo per riflettere non mi manca, mi permetto di suggerirti qualche spunto. Hai scritto, nel racconto Uomo, che viviamo sulla superficie di una palla, che ruota sul suo asse e orbita attorno a un'altra palla in un sistema di palle tanto complesso quanto - a pensarci bene - ridicolo. Questo continuo ritorno a un punto dove si è già passati, questa impossibilità di partire per la tangente verso nuovi mondi (sogno dell'uomo nell'era delle esplorazioni spaziali) è così diverso, così antitetico dal percorso lineare (come hai scritto, da A a B) ma sempre nuovo della nostra vita. Citando Milan Kundera hai sostenuto che "La felicità è desiderio di ripetizione." Seguire un percorso sempre identico rassicura, è vero. Nella poesia L'uomo che cammina sul filo esprimi questi concetti in maniera esemplare: andare in linea retta da A a B, senza scorgere dove poggeremo il piede al prossimo passo, è frustrante e questo è il nostro Destino. Tornare indietro non ci è concesso, così l'uomo non può essere felice. Io sono in vista di B. Oltre, non c'è nulla. Agnostico come te, guardo indietro, dove posso scorgere e rimpiangere qualcosa e non avanti, dove presento il nulla. Io me ne vado, ma tu rimani. Vai avanti, senza paura. Scrivi ancora, ora hai finito il tuo tirocinio. Leggi i classici, educa il tuo gusto e scrivi assecondandolo. Non curarti degli altri, non è importante. Nei tuoi ultimi racconti scorgo una perfezione assente nei primi. Sei migliorato nei dialoghi, più profondo nelle riflessioni ma hai perso un po' d'ironia. Forse è un bene, inizi a prenderti sul serio o forse no (ricordati Voltaire!). Alfredo, mi manchi. E mi mancano i tuoi personaggi: Isabel, Wiga, Giordano, Masha, Alice... Splendido il Professor Mario Battisti: a volte spero che tu ti sia ispirato a me. Lo so, gli insuccessi sfiancano. Ma non lasciarti abbattere, sii forte. Pensa a Quintana: Il tempo in cui dobbiamo essere felici è il presente, e ha la durata di un istante che passa. Vorrei venire alla tua presentazione, ma come sai non posso alzarmi da questo letto. La guarderò su Youtube, se farai un filmato, come l'altra volta. Non ci sarò, ma ti sarò vicino. Siamo amici, non lo saremo sempre, sempre non esiste. Esiste ieri - nel nostro ricordo, esiste adesso, esiste domani - nella nostra immaginazione. Noi l'abbiamo capito e accettato: è già molto. Non venire a trovarmi, sarebbe triste. Hai scritto anche questo e avevi ragione. Vorrei riscrivere le presentazioni, forse lo farò: sento anch'io il desiderio di lasciare una piccola traccia, è nella natura dell'uomo. Ma la mia traccia rimarrà soltanto a condizione che rimanga la tua, quindi spetta a te scrivere per tutti e due. Se ce la farai, bene. Altrimenti, va bene lo stesso. Un abbraccio, Professor Mario Caccamo".