domenica 10 settembre 2017

Professor Mario Caccamo - Prefazione Da A a B

Da A a B

PREFAZIONE
Romanzo in tre parti, dall’architettura complessa: tre io narranti e un narratore. Nella prima (dedicata al Destino), un uomo - Giulio di Tocco - narra in prima persona la sua vicenda. Il Destino gli ha giocato un brutto scherzo, facendogli perdere in un istante salute, famiglia e lavoro. Risvegliatosi dal coma in un reparto di rianimazione, Giulio sente di avere perso il suo posto nel mondo e inizia un percorso di rinascita (che lui definisce “un naufragio”), che porta all’accettazione del proprio Destino. Sembrerebbe una trama scontata, patetica. Al contrario, la prima parte è un susseguirsi di sorprese, grazie a un personaggio straordinario: sensibile, spiritoso e profondo. Nella seconda parte (dedicata all’illusione), Giulio vola a Donetsk, in Ucraina, per incontrare Masha. La loro storia viene narrata da entrambi, io narranti che si alternano con risultati sorprendenti. Tra parentesi, perché poco importa al lettore, la seconda parte – che nell’opera viene definita il romanzo di fantasia – è invece l’unica autobiografica: Tocchi ha sposato la sua Masha (Tanya) ed è nata Milena, come Masha tanto desiderava. Il finale – in linea con il tema di fondo, l’Illusione” - sembra un inizio: l’inizio di quella “vita nuova” tanto agognata da Giulio. Nella terza parte (dedicata alla nostalgia), l’io narrante protagonista è Alice, moglie e madre di due figli. L’incontro casuale a Nizza con Giulio sconvolgerà la sua vita: deciderà di lasciare suo marito e di scrivere la propria autobiografia “per smettere di soffrire”. Proprio in quell’autobiografia, terminata ad Anguilla, sua isola d’origine, il lettore ritroverà Giulio, proprio come lei ha ritrovato il suo vero padre, il cantante reggae Bankie Banx. L’epilogo è affidato a un narratore, ed è un flashback sulla vita di Giulio e, soprattutto, sulla scrittura come tentativo di comunicazione con “sconosciuti amici”.
Già da queste poche righe, appare evidente la complessità architettonica del romanzo, costato al suo autore tre anni di lavoro, una vera e propria “sospensione della vita” e una fortuna in termini economici, dato che Tocchi era (è) un avvocato ben pagato che ha quasi smesso di lavorare soltanto per terminare questo romanzo. Sarebbe riduttivo scrivere che è la biografia di Giulio o, come semplicisticamente ha affermato qualcun altro, che è l’autobiografia dell’autore: in ogni occasione Tocchi ha smentito categoricamente che questa sia un’opera autobiografica, definendola un’opera “in parte autobiografica” e, con le celebri parole di Italo Svevo, “un’autobiografia, ma non la mia”. In realtà l’opera è molto più complessa e si presta a diversi piani di lettura. Senza dubbio, è un romanzo sull’arte e in particolare sull’esigenza percepita da ogni artista di lasciare una traccia del proprio passaggio. E’ altrettanto evidente che sia una storia sul valore consolatorio dell’amore, tanto ricercato da Giulio in quanto “unica cosa che può rendere tollerabile la mia sconfitta”. Tocchi usa il parallelismo tra il percorso di Giulio e un naufragio, dimostrando di avere letto e ben compreso l’esempio fatto da Bertrand Russell quando scrisse che un conto è osservare un’isola dal ponte del proprio yacht, trovarla magnifica e desiderare di sbarcarvi in tutta sicurezza, un altro è osservare la stessa isola da una zattera: il desiderio di sbarco è l’unica costante! Così fa Giulio con Alice, naturalmente non riesce a conquistarla e questo porta alle estreme conseguenze. Se fosse un’autobiografia, come potremmo collocare Masha e Alice? Io narranti al pari di Giulio, queste due donne sono altrettanto credibili, un aspetto a cui non è stato dato sufficiente risalto. La realtà è sotto gli occhi del lettore: l’autore è capace di rendere credibili tutti i protagonisti, non è uno dei tanti scrittori di mainstream capaci di parlare soltanto di se stessi (il paragone con La vita oscena di Aldo Nove, citato anche nel romanzo, è particolarmente calzante) Ma gli spunti di riflessione non si fermano certo a questi primi più evidenti aspetti. Al lettore attento, non può sfuggire che l’idea di fondo è narrare un’Odissea magnificamente attuale, in cui non ritorna a casa il protagonista, Giulio, ma l’io narrante della terza parte, Alice. Questa staffetta dà l’idea della profondità della trama: non tutti ce la fanno, ma la vita procede e qualcuno, a volte, ritorna a casa. Emblematico il percorso di Giulio: via via che si procede nella lettura è sempre meno presente, esce di scena in una lenta dissolvenza e vi ritorna prepotentemente nel finale della terza parte non più da uomo ma da scrittore. L’opera segue dunque il naturale percorso di tutti gli scrittori, la metamorfosi che lascia – di una vita – unicamente l’opera. La fine di Giulio è la fine di molti scrittori, una fine da scrittore e come tale coerente con l’impostazione voluta dall’autore – e con la prima frase del romanzo “Finirò male, perché sono un maudit”, quasi una dichiarazione d’intenti. Giulio vuole riprendersi il suo posto nel mondo diventando uno scrittore, non gli interessa altro, eppure fino all’ultimo istante resta fedele alla citazione di Italo Calvino che si è scelto come epitaffio: “Riuscì, pur stando solo, a sentirsi sempre dalla parte del prossimo”. Il prossimo dunque, primi fra tutti i personaggi femminili di Masha e Alice, vere coprotagoniste, che fanno da contrappunto alla visione tutta maschile - “orgasmocentrica” come la definisce lui - di Giulio. Poi, emblematicamente, ogni io narrante ha un amico: Giulio ha Giordano, Masha ha Galya, Alice ha Sheila. Indimenticabile la riflessione di Masha: "Forse è questo il bello dell'amicizia, riuscire a sentirsi di nuovo bambini, a volte, almeno per un attimo". Sono molte le frasi che si scolpiscono nella mente del lettore, le considerazioni originali, le riflessioni e altrettante le battute folgoranti a volte affidate a Giordano – quasi una spalla di Giulio.
L’autore evita i richiami filosofici ma è indubbiamente, a modo suo, un filosofo, per quanto da tatami. E questo suo tratto caratteristico, questo avere sottolineato gli aspetti più oscuri della personalità del protagonista, quest’enfasi data a quel particolare tipo di degradazione e di momentaneo oblio che Giulio cerca nei bordelli – senza mai trovarlo, le descrizioni dei suoi rapporti sessuali sono tra le cose più tristi dell’opera – è la croce che ha condannato Tocchi a essere rifiutato da agenti letterari e case editrici. Non una delle schede di valutazione ha valutato l’opera senza giudicarne l’autore, dando per scontato che Tocchi sia di Tocco.  Ed è notevole rimarcare che la stessa cosa è accaduta per il secondo romanzo dell’autore, quando anche in Luigi i recensori hanno visto un suo alter ego. Ma questo errore di prospettiva è causato dalla capacità di dare vita a protagonisti credibili, vivi.
Sono pochi gli scrittori che si siano cimentati con un’architettura tanto ambiziosa, ancora di meno quelli italiani. Avrebbe potuto risolversi un disastro, in una disarmonica stratificazione di storie, ma così non è stato. Il merito, naturalmente, è dell’autore: un uomo che scrive “da uomo” ma è altrettanto capace di descrivere i sentimenti di una madre verso i propri figli, che è capace di farci sorridere per poi farci piangere la pagina seguente. Lontano anni luce dal romanzo ottocentesco come dal post moderno, ammiratore dei maudit e dei post punk, Tocchi è soprattutto un autore dotato di uno stile originale, cosa che nell’arte moderna non è forse proprio tutto, ma è già segno distintivo del vero artista.


Professor Mario Caccamo

domenica 20 agosto 2017

NEL MONDO DOVE MI SONO RIFUGIATO...

NEL MONDO DOVE MI SONO RIFUGIATO...
Lavoro circa 50 ore a settimana (faccio l'avvocato, ma sono figlio e nipote d'ingegneri: questo mi rende competente sul cemento armato?). Pago gli alimenti alla mia prima figlia e mantengo la mia famiglia. La sera torno a casa, aiuto mia moglie a cucinare, ogni due giorni facciamo il bagnetto a nostra figlia, ci giochiamo un po', poi me ne vado a letto a leggere. Qualche volta, resto alzato fino a notte fonda a scrivere. Nel mondo dove mi sono rifugiato, sono in tanti (soprattutto nelle agenzie letterarie e nelle case editrici) a deridermi, pensare che io sia un pazzo, un mitomane. Nel mondo dove viviamo tutti, Charles Bukowski, ubriaco durante un'intervista alla TV francese, iniziò a dire oscenità alla sua ospite e a toccarsi. Io lo giudico soltanto un grande scrittore, non un pazzo o un mitomane. Nel mondo dove viviamo tutti, tutto quello che ho scritto - tutto, poesie comprese! -
è stato pubblicato. Puoi controllarlo tu stessa sulla lista di Writers dream, Zerounoundici e dEste NON sono editori a pagamento. 
Questo non fa di me un Bukowski (e neanche uno scrittore, vai a leggerti la mia intervista di David Frati su Mangialibri), ma anche lui, da qualche parte, aveva pur dovuto incominciare. Hai ragione, io sono "uno sfigato che frequenta Meetic per scopare (ma per carità, lo fanno in tanti), che si innamora delle puttane con cui scopa (ecco...questo lo fanno meno persone), e alla fine si fa(ccia) pure incastrare da una...be'...".
Però io non mi sono mai permesso di offendere, di recensire libri che non ho letto (tu neanche hai capito che Tra un anno sarò felice e Confessioni di un pazzo di raro talento sono lo stesso mio romanzo). Sono talmente timido che non posto mai nulla sulle pagine Facebook degli altri: le vado a visitate ma raramente commento. E soprattutto, non mi permetto di dare consigli non richiesti. Tu che sei una "signora solare" di oltre 50 anni, tu che frequenti i siti per incontri per "conoscere" e non per scopare, tu che sei figlia dei proprietari della più antica libreria d'Italia, tu che sei medico, sei soltanto una stalker che mi diffama. Io non ho mai inviato niente gratis a nessuno e infatti - ti basta andare su Amazon - ho al massimo 3 recensioni: il mio libro te lo ha dato Egidio Vacchini e tu (o forse lui) l'hai poi venduto. Hai 3 possibilità: 1) continuare a recensirmi senza avermi letto, soltanto perchè ti ho mandato a fare in culo su Meetic; 2) domandarmi scusa (ma per cambiare opinione, bisogna capire, per capire, bisogna essere intelligenti) o 3) tacere e vergognarti. Per una volta, mi azzardo a dare un consiglio: scegli la terza possibilità.

venerdì 26 maggio 2017

Luigi Sonzini 10 luglio 1942 - 21 maggio 2017

Le sofferenze umane
Tra i tanti modi di rappresentare le sofferenze umane, uno dei più originali, semplicemente geniali, è quello di Luigi Sonzini. Una croce composta da tele bruciate sovrapposte con all'interno specchi. La croce, simbolo della sofferenza di Gesù Cristo, evocativa del dolore ma anche della redenzione dal dolore grazie al sacrificio del figlio di Dio fattosi uomo. Le tele bruciate, che rendono tridimensionale l'opera. Gli specchi, che riflettono l'immagine di chi osservi l'opera, lo catturano al suo interno, trasformando lo spettatore - ma anche il mondo circostante - in un'immagine crocefissa. Gli specchi fanno sì che l'opera muti ad ogni minimo spostamento dell'osservatore: perpetuum mobile, l'incessante movimento dell'universo intorno all'uomo, l'universo come percezione, impressione, di ogni singolo essere pensante. L'universo non è ciò che ci circonda, è la nostra personale elaborazione di ciò che ci circonda: echi di Edmund Husserl. Così la croce è sempre uguale e sempre diversa, cambia ad ogni istante, si rinnova e si perpetua esattamente come la vita. Luigi Sonzini capì immediatamente la forza espressiva e simbolica della sua opera e ne rimase segnato. Consapevole di essere tra i più grandi artisti della sua generazione, ma al tempo stesso convinto che la vita debba pagare un tributo altissimo all'arte e - naturalmente - viceversa. Il talento, quello vero, è un frutto avvelenato. "Lucio Fontana è stato un grande artista, ma i suoi concetti spaziali sono soltanto l'inizio di un percorso artistico che si conclude con le mie croci bruciate. Il taglio della tela con un coltello da filetto, il buco con un punteruolo, sono gesti violenti che squarciano il velo simbolico che è la tela, ma non la purificano. Soltanto il fuoco purifica. Siamo cenere che ritorna cenere". Fascinazione della cenere, echi di Emìl Cioran, il nichilismo di un artista maudit che ha saputo rappresentare la sofferenza con un'eleganza senza pari. Perché è vero che le sue opere hanno una grande valenza simbolica, ma se osservate una tela bruciata nella sua teca di perspex fumé, ciò che vi colpisce è la sua eleganza, la sua bellezza come oggetto decorativo. Luigi Sonzini ha avuto le stimmate caratteristiche dei grandi artisti nichilisti descritte nel saggio di Francesco Piga La verità di Céline: la notte e la morte: “Le persecuzioni da parte di coloro che nel loro quieto vivere si sentono irritati da uno spirito anticonformista e polemico, il desiderio di libertà totale per una meditazione in solitudine… la ricerca laboriosa di uno stile personale… il risultato di un'opera dai contenuti mai consolatori ma scomodi e disperanti.”

mercoledì 24 maggio 2017

L'uomo di seta (di Luigi Sonzini)

Se queste parole voi pubblicherete
ancor molte storie da me leggerete.
Noi or dell'artista dobbiamo parlare
e voi queste cose potrete ascoltare.
Sappiate che artista davvero lo è 
soltanto chi vive da solo con sé
perché quei consorzi che dell'arte fanno
con tutti i lor sforzi mai la capiranno.
Si inventano arti, si fanno musei
cui gridan vendetta persino gli Achei.
Parlare ho sentito stasera Bonito
e allora, ho capito
che le sue parole
battevan sol dove il dente duole.
Poi quel professore davvero sgarbato
che parla dell'arte in modo affettato
lui parla dell'arte davvero sovrana
e intanto alla tela ogni dì si sputtana.
In tutte le ere è stato così
partendo da Cristo che è morto qui
e ben lo sappiamo lui era un artista
e forse per questo lo misero in pista.
Quel grande profeta
col saio di seta
salì sopra il monte con grande passione
nel mentre la lira suonava Nerone.
Bruciava col capo coperto di spine
seguito soltanto da 4 beghine
poi qualcun altro gli stava di dietro
di nome Luca, Giovanni oppur Pietro.
Il povero Giuda l'aveva tradito
per trenta denari, ma si era pentito.
Allor mi domando a che è valso il supplizio
se poi nell'umano, è rimasto quel vizio!
Avrei anche potuto parlar di Andreotti
ma son vent'anni che c'è anche la Jotti.
Si fan le guerre, si squarcia il pianeta
bevendo quel sangue dell'uomo di seta
e più si va avanti nel nostro cammino
più perdiamo la meta che è il nostro destino.
(Luigi Sonzini)