venerdì 18 settembre 2015

Il managerino

Se osserviamo attentamente la realtà, scorgiamo chiaramente che ogni azione viene valutata secondo tre criteri. Il primo, è quello estetico. Inutile dilungarsi in spiegazioni. Il secondo, è quello economico. Se io scrivo un romanzo e non ne ricavo un guadagno, la mia azione (scrivere) viene valutata negativamente. Il terzo criterio, è quello morale. Aiutare una persona in difficoltà viene valutato positivamente, anche se non se ne ricava un guadagno. Il giudizio morale, a livello individuale, ai nostri giorni è in disuso. Anzi, si potrebbe affermare che persino il giudizio morale, oggigiorno si riduca a un giudizio economico: la buona azione viene giudicata di valore se arricchisce economicamente il povero destinatario. Forse sarà perché non si crede più nell’equazione comportamento moralmente positivo = acquisto di crediti per entrare in Paradiso. Oppure perché secondo le teorie liberiste chi persegua un proprio personale vantaggio economico alla fine – senza rendersene magari conto – persegue anche il bene della società (un’eresia a buon mercato spacciata per una verità assoluta da ciarlatani: che uccida gli ultimi tonni del Mediterraneo per trarne un guadagno economico, non fa il bene della società ma unicamente il proprio interesse immediato). In ogni caso, altri criteri non ce ne sono. Quindi, nello scrivere senza un ritorno economico non ci sono meriti. Da cento anni si teorizza la fine dell’epoca dell’individualità. In una società complessa e connessa come la nostra, ciascuno di noi può emergere come individuo unicamente in attività sportive o nello spettacolo (intendendo come tale anche tutto il mondo dei media). Un uomo che in solitudine, al solo scopo di migliorare la propria cultura e la propria conoscenza del mondo, passi il proprio tempo a studiare, viene guardato con sospetto. Se però da tale studio saprà trarre l’ispirazione per scrivere un best seller, il giudizio muterà in positivo, secondo l’equazione grande guadagno = grande valore. Una simile società eleggerà presidente un miliardario, nella convinzione che valga quanto uno statista. Ogni giudizio morale è personale, influenzato dalla morale di chi giudichi. Per questo persino un giudizio morale positivo non compensa un giudizio economico negativo, perché il giudizio economico è oggettivo e misurabile. La mia azione (scrivere) non mi ha portato vantaggi economici, quindi il giudizio su di me è negativo. Io sono un fallito e tale mi considera il managerino del piano di sopra, che tutte le mattine esce di casa col suo completino grigio per andare a svolgere la sua utile funzione all’interno della società. Lui, formica operaia, fa un bilancio positivo della sua vita, economicamente e moralmente. Se sarà sufficientemente ottuso da non porsi mai interrogativi sul senso della sua vita, sarà felice, appagato di se stesso. Io non posso esserlo, gli interrogativi me li pongo e proprio per questo posso confermare che, come scrisse Musil, la stupidità rende felici. Ma nello stesso tempo, comprendo che è facile offendere il prossimo e sentirsi superiori grazie a una frase così scolpita, ma la verità è che il managerino è felice perché si sente parte di un tutto, utile alla società e io questa sensazione non sarei più in grado di provarla, perché l’esperienza del coma mi ha fatto comprendere l’estrema relatività dell’importanza individuale.

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