ALFREDO TOCCHI, BELLA CIAO
Questa mattina, mi son svegliato
“O bella ciao”, ho detto a mia figlia (noi Tocchi siamo di origini toscane),
questa mattina, 24 marzo 2020, mi son svegliato e sono sceso con il can.
In pantofole, sacchettino per la cacca in mano, ho aperto il cancello
e ho trovato una FIAT dei carabinieri: “Lei dove va?”
“Ha l’autocertificazione?”
Il cane tira verso il palo, a tre metri di distanza: “Gli faccio fare la pipì e torno dentro.”
Faccio un passo, ma l’appuntato si è accigliato: “Se vuole restare in strada, deve compilare l’autocertificazione.”
“Ma scusi, per certificare cosa? Non vede che sono in pantofole?”
“Non faccia lo spiritoso.”
“No, ma non capisco cosa devo autocertificare.”
“Ma come faccio a saperlo, se poi dichiaro il falso, cosa mi succede?”
“Le domande le facciamo noi, favorisca i documenti.”
“Non li ho presi, devo ancora farmi la doccia.”
“E’ la casa dei miei bisnonni, la via porta il nome di un cugino dei miei genitori morto partigiano, siamo qui da più di cent’anni.” Non sto a spiegargli come sia possibile che il povero Giorgio Borgato fosse cugino sia di mia madre che di mio padre, sarebbe complicato e imbarazzante giustificare la simpatica bizzarria famigliare di trovare il coniuge attraversando la via e sposando un parente: un esempio di pigrizia nella ricerca del partner (non so se attraversassero la strada in pantofole).
“Vada a prendere i documenti.”
“Ciabattando salgo le scale, prendo il portafoglio, do un bacio in fronte a mia moglie: “O bella ciao!” e scendo trainato dal cane.
Dopo un rapido esame, l’accusa: “Lei risiede a Milano.”
“Sì certo, ma sono qui da venerdì 6 marzo.”
“I miei genitori hanno più di ottant’anni. Siamo venuti per il fine settimana e siamo rimasti qui.”
“E chi altro abita in questa casa?”
“Mia moglie e mia figlia piccola, di quattro anni.”
Mi squadra: “E lei ha genitori così anziani e una figlia così piccola?”
“E’ figlia della mia seconda moglie…”
“Non dovreste essere qui. Tra l’altro, come hanno scritto tutti i giornali, qui non avete il medico di base.”
Inizio a essere nervoso. Il cane tira, io sono un avvocato di 57 anni che deve giustificarsi con un ragazzino che vive il suo attimo di gloria: fare una denunzia, la prima in paese, contro un milanese. Gioco una carta disperata, quella di sdrammatizzare: “Senta, se vuole torno dentro. Le prometto che la prossima volta compilerò l’autocertificazione.”
“No, voi dovete ritornare a casa, a Milano.”
“Persino i delinquenti hanno il diritto di scegliersi dove scontare la pena della detenzione domiciliare.”
“Le ho già detto di non fare dello spirito.”
Ho il sangue alla testa, fisso negli occhi questo giovane eroe di una guerra senza seconde linee, combattuta contro un micidiale nemico invisibile, questo moderno martire al quale il sindaco dedicherà una via, magari questa stessa via già dedicata a un giovane morto per la libertà, ma non dico nulla.
Lascio libero il cane - almeno lui - faccio un passo indietro poggiando le pantofole sulla soglia del cancello e sussurro: “Così va bene?”
Sulla mia testa ronza un drone. Spia la mia casa… tanto non è la mia residenza.
Non basta scrivere: “Andrà tutto bene” perché le cose vadano bene: questa e’ una nuova forma di superstizione laica che si aggiunge a quella dei credenti. Queste giornate non saranno ricordate come il tempo della nostra vittoria, ma quello della nostra disfatta. La cura e’ stata mille volte più devastante della malattia e presto sara’ chiaro a tutti. Ma è già evidente che nessuno farà autocritica, nemmeno chi ha trasformato un’emergenza sanitaria in un grandioso esperimento sociale o, se vogliamo, una prova tecnica di dittatura della paura. Forse è giusto così: il punto è che l'uomo continua a illudersi di essere simile a un Dio e poi si comporta ... da uomo. Non si assume le responsabilità del proprio impatto devastante sul pianeta (quasi sette miliardi e mezzo di esseri umani sono il problema, non la modernità, accusata dai cattivi scrittori, dai nostalgici della stalla, dai retorici apologeti del letame!).
Una mattina mi son svegliato e ho scoperto che ero stato condannato a una pena detentiva da uno stato di polizia guidato dal mio collega avvocato Giuseppi, dove una giustizia sommaria viene amministrata a discrezione dell’ultimo appuntato dei carabinieri.
Una mattina mi son svegliato e mi avevano privato dei miei diritti: la libertà di movimento, la libertà di esercitare la mia professione, la libertà di scontare la pena al mio domicilio eletto, il diritto alla privacy.
Una mattina mi son svegliato e tutti gli organi d’informazione diffondevano false notizie sul numero dei contagiati - che non conoscono e con tutta probabilità e’ prossimo ai 500.000 - per non farci sapere che la percentuale dei morti e’ molto più bassa e che il vero problema che ha aggravato nel nostro paese questa tragedia e’ che vent’anni di tagli alla sanità ci hanno privato di più di meta’ dei letti nelle terapie intensive. Tutti gridavano bianco. Io, assumendomene tutte le inevitabili conseguenze, ho gridato nero. Nel reparto di terapia intensiva del Policlinico di Milano mi sono risvegliato dal coma, e’ grazie all’eccellente lavoro fatto da medici e infermieri se ho ancora voce!
Una mattina mi son svegliato e tutti i sacrifici che avevo fatto per contribuire al benessere della mia famiglia e al risanamento del bilancio di uno Stato gestito da irresponsabili bancarottieri sono andati in fumo.
Quella mattina, l’Italia – un paese libero - gioiva per il permesso concesso dalla Signora von der Leyen di fare nuovo debito, mentre la Signora Lagarde (dopo averci avvertito che lo spread sono fatti nostri, per poi smentire) impegnava la BCE ad acquistare i nostri titoli di Stato, in cambio di un rendimento che varierà in base allo spread, che è in mano alla speculazione e il Signor Klaus Regling tuonava (per poi smentire) che Italia e Spagna devono mettersi in ginocchio, davanti a lui che e’ l’Amministratore del Meccanismo Europeo di Stabilita’ (MES), se vorranno aiuto.
Una mattina, in pantofole e senza documenti in tasca, ho dato un’occhiata al cancello del mio vicino e ho visto un lenzuolo con scritto: “Andrà tutto bene” sotto il tricolore.
Quella mattina, credetemi, è stata l’inizio di una nuova consapevolezza: ero l’ultimo liberale, ora sono anarchico.