L'uomo di seta è il sesto romanzo di Alfredo Tocchi. Mescolando i temi ricorrenti nella sua opera, Destino, illusione e nostalgia, Tocchi ottiene un risultato sorprendente, inaspettato per chi conosca tutti i suoi scritti precedenti. Ed è un risultato voluto, raggiunto grazie a una tecnica narrativa simile a una partitura musicale, in cui il tempo non è costante, da Larghissimo diviene Prestissimo. L'effetto è che la fine del romanzo ci coglie di sorpresa e il messaggio dell'autore ci colpisce con tutta la forza del toro quando carica la prima volta, per usare una metafora di Charles Bukowski.
Raccontando una storia che incomincia nel 1958 e finisce nel 2019, Tocchi compie un esercizio di riduzione all'essenziale, focalizzando la narrazione soltanto su ciò che è strumentale per comprendere la trama e ciò nonostante dando vita a una serie di personaggi indimenticabili (primo fra tutti quello di Cesarina). Tutto si svela nel finale, persino il titolo, e il messaggio (per fortuna) è limpido, di valenza universale ma non trattato con quella prosopopea, quella boria di salire in cattedra tipica di alcuni autori che vanno per la maggiore. Qui, al contrario, non ci sono riflessioni - rallenterebbero il ritmo - e proprio per questo, perché non è mediato dall'opinione dell'autore, incorna il lettore, costringendolo a una riflessione personale. In questo senso, si può affermare che Tocchi abbia inteso fare della poesia in prosa. L'opera è stata ispirata dalla visione di un cortometraggio del giovane regista italiano trapiantato a Hollywood Tommaso Frangini in concorso al Festival di Sarajevo, che mostrava immagini di un manicomio ed è dedicata "a tutti coloro che non hanno saputo trovare o ritrovare il ritmo giusto per restare in equilibrio". Tuttavia, il disagio mentale è poco più di un pretesto per esprimere il concetto che "tutto è successo troppo in fretta" e per questo l'uomo contemporaneo non riesce più a percepire l'harmonia caelestis. Mettendo da parte le digressioni filosofiche di Husserl e le notti di Milano (uscito per Zerounoundici col titolo Undici al 17, che ne rallentavano il ritmo ed erano state giustamente oggetto di una critica da parte di David Frati), abbandonando completamente l'approccio saggistico che caratterizza alcune parti de L'éléphant e lo rende un romanzo di difficile lettura, Tocchi compie un piccolo miracolo, tornando a quella spontaneità espressiva che era la forza, il vero pregio della sua opera d'esordio. L'uomo di seta è la conferma che Alfredo Tocchi è un artista, perché in ciascuno dei suoi romanzi è stato capace di rinnovarsi, pur restando assolutamente fedele ai propri temi.
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