mercoledì 9 luglio 2014

Qual è il mio sogno?

“Se vuoi uccidere un uomo, privalo del suo sogno più bello.” (Jim Morrison).
Fine maggio, c'è il sole. E' mattina presto, prima delle otto. Faccio il solito giro dell'isolato con Wigo, prima di fermarmi al bar di Giacomo a fare colazione. Incrocio tre ragazzini di circa quattordici anni che vanno verso la scuola. Qual è il loro sogno? Riuscire a baciare la compagna di classe più carina? Comprarsi un motorino? Diventare calciatore? Più avanti, con la sua setter inglese, la mia vicina di casa: 84 anni. Sogna ancora? Magari il paradiso o la reincarnazione? Una coppia di impiegati scende in fretta le scale della metropolitana. Quali sono i loro sogni? Un figlio? Pagare il mutuo? Andare in vacanza in Polinesia? Il mendicante rumeno è già al suo posto, seduto accanto al bar. Sogna il suo paese? Rivedere gli amici? Se ciascuno di noi ha un sogno qual è il mio? "Quando andai a scuola, mi domandarono cosa volessi diventare da grande. Io scrissi: "felice". Mi dissero che non avevo capito il compito ed io dissi loro che non avevano capito la vita." (John Lennon). Il mio sogno è di essere di nuovo felice. E per essere felici, occorre riconoscere i propri “bisogni primari”. Io l’ho pensato - e scritto - tante volte: sento il bisogno di essere in due, di nuovo in due, finalmente in due. Lo so, è un sogno semplice e romantico. Non soffro di sindrome da dipendenza affettiva, attenzione alle analisi affrettate. Mi piace condividere la mia vita con un’altra persona, stabilire quella perfetta intimità che esiste a volte tra uomo e donna e che consente di cenare insieme, passeggiare mangiando un gelato, starsene abbracciati o fare l’amore provandone piacere. Lo so, tutto viene a noia, anche essere in due: i sogni realizzati perdono il loro fascino, così è la vita. Per questo bisogna osservarla con occhi sempre nuovi e continuare a sognare. Non sempre è possibile, non sempre è ragionevole. Da giovani, è facile. Alla mia età, la disillusione paralizza la fantasia. La noia regna sulle nostre vite e la depressione è sempre in agguato. “In questo mondo, siamo stati gettati come un cane senza un osso.” (Jim Morrison).  Per questo ciascuno di noi deve imparare a essere felice. “Ogni uomo dovrebbe guardare dentro di sé per imparare il significato della vita. Non è qualcosa che si scopre: è qualcosa che si deve modellare.” (Antoine de Saint-Exupéry). In questa frase sta il segreto - e non mi sorprende che l’abbia scritta l’uomo più sensibile della letteratura: non è una scoperta, è una costruzione, la costruzione del nostro castello di sabbia. La vita dell’uomo è scritta sulla sabbia, ma non per questo l’uomo deve scriverla diversamente da come la scriverebbe sulla pietra (Jorge Luis Borges, citato a memoria). Uno dei tanti problemi della vita moderna, è la moltiplicazione dei desideri. Le filosofie orientali teorizzano che la felicità coincida con l'assenza di desideri. Non è così: la felicità coincide con il riconoscimento e la soddisfazione dei desideri (bisogni) primari. Tuttavia, nel nostro mondo moderno la società è una macchina infernale che produce continuamente bisogni indotti. Confusi, non siamo più in grado di distinguere cosa possa davvero renderci felici. Se il castello che desideriamo costruire è troppo complesso, se fuorviati dai bisogni indotti desideriamo troppe cose, rischiamo di non essere in grado di costruirlo. Ma se non costruiamo nulla, come possiamo essere soddisfatti della nostra vita? E se i castelli accanto al nostro - non importa che tutti i castelli vengano alla fine distrutti dalle onde, quello non ci dà soddisfazione - sono più complessi, come possiamo essere fieri del nostro, tanto più semplice? L'emulazione è umana. Per i pescatori delle Isole Tuamotu, la felicità un tempo era una capanna, una buona pesca e una famiglia. Per noi? Quanti desideri dobbiamo soddisfare per essere felici? L'uomo moderno è davvero condannato all'infelicità? Allenarsi al minimalismo dei desideri può essere utile?

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