giovedì 3 luglio 2014

Apocalisse

"La letteratura apocalittica nasce per aiutare a sopportare l'insopportabile” (Paul Beauchamp). Nel vagone affollato della metropolitana un uomo di cinquant’anni con una T shirt con scritto long vehicle mi spinge contro il sedere di una donna grassa. Lei si volta e mi fissa, senza dire nulla. Mi alita in faccia e l’odore di cipolla, appena attutito da quello di caffè, mi toglie il respiro. Scenderei alla prossima, ma sono già in ritardo. Trattengo il fiato e cerco di girarmi. Le poche persone sedute non hanno neppure lo spazio per muovere un piede, se mai ne avessero voglia, ma sono assorte a digitare messaggi sui telefonini. Una ragazza legge, tranquilla, come se si trovasse sulla poltrona del suo salotto. Mani sudate attaccate ai sostegni si sfiorano soltanto, ma i corpi sono incollati uno all’altro. Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra: fino a quando, fino a che punto? Se la nostra vita ha un senso, non può essere che la distruzione della terra. Siamo infestanti. Siamo troppi e ormai è evidente. Ancora due fermate, tre o quattro minuti al massimo. Dovrei essere felice di avere un lavoro: non ci pago tutte le mie spese, ma con molte economie e un po’ di fortuna potrò sopravvivere per due o tre anni. E poi? Poi dovrò ripensare la mia vita, cercarmi una casa in periferia, farmi mezz’ora in più di metropolitana e dimenticarmi cose che un tempo mi sembravano normali come le vacanze, il sabato sera al ristorante, il cinema la domenica. E intanto il telegiornale mi mostrerà le immagini di mille naufragi, morti di poveri in cerca della sopravvivenza. No, non mi abituerò a quell’orrore e non penserò che si sono meritati quel destino. Ormai è chiaro: l’acqua sta per finire e i pesci si dibattono accelerando la loro morte. L’industria non esiste quasi più, il commercio al dettaglio viene sostituito dalla grande distribuzione, gli artigiani scompaiono – nulla più si costruisce a mano o si ripara, tutto si consuma e si getta – i professionisti sono dieci volte più numerosi del necessario e il livello culturale scende a livelli subumani: non ci sarà nessuna ripresa, siamo soltanto all’inizio della caduta. L’Europa che un tempo ha creduto nei valori dell’illuminismo si è venduta ai venditori di fumo, quegli economisti che hanno consentito il ritorno alla moderna schiavitù, eliminando i dazi e gli accordi commerciali in nome della liberalizzazione e non dell’uguaglianza di diritti. Anzi, dimenticando del tutto i diritti umani, consentendo che le multinazionali sfruttassero la manodopera dei paesi poveri – distruggendo le nostre industrie manifatturiere – per offrirci prodotti a basso prezzo ma ad un costo inaccettabile: la distruzione del nostro mondo. Finiamola con le prese in giro: il declino è appena incominciato. Tra poco finiranno le risorse: troppi uomini desiderano le stesse cose – utili o inutili che siano - ma non c’è speranza di accontentare tutti. In questa mostruosa fiera, io in fondo sono stato abbastanza fortunato da non morire annegato nel canale di Sicilia. Ho vissuto, per un po’ di tempo mi sono illuso, e questo è già un grande privilegio. Sono sincero, ora non m’illudo più. Sono agnostico, ma riflettendoci bene penso che se davvero Dio esiste – se noi siamo stati creati a sua immagine e somiglianza – la nostra vita deve pure avere un senso. Stiamo distruggendo la terra, eliminando tutto ciò che ci circonda, animale o vegetale. Dio lo immagino come un bambino che ama giocare con pianeti morti, senza orrendi animaletti. Noi siamo i batteri mandati per uccidere la vita. Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra. Scusatemi se tengo per la terra, se pur senza una preghiera a volte spero che l’umanità scompaia, lasciando vivere quel meraviglioso pianeta blu che soltanto i più fortunati di noi hanno visto dalle astronavi. Lucidamente disilluso non verserei una lacrima per la scomparsa dell’umanità, come nel capolavoro di Guido Morselli Dissipatio H. G. Morselli si suicidò subito dopo averlo scritto, con “la ragazza dall’occhio nero” (la sua pistola). Suicidarmi perché, se non credo in Dio? La mia morte sarebbe definitiva, eterna e non avrei una seconda chance. Ma se non voglio suicidarmi, non bisogna credere che vivere convinto di essere un pericolo per la vita sulla terra sia facile. Mi sento in colpa, mi sento impotente, mi sento in balia del Destino. L’unica consolazione è l’amore e pensandoci bene è normale che sia così. L’istinto mi porta verso la conservazione della specie, anche quando io odio la mia specie. Eccetto colei che amo, naturalmente. Discorso contorto o forse no, poco cambia. La realtà è davanti agli occhi di tutti. Su questo vagone della metropolitana stiamo meglio – molto meglio – che sui barconi dei migranti (il paragone, mi rendo conto, è aberrante), ma andiamo tutti insieme verso l’Apocalisse, chi prima, chi dopo.

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