sabato 1 settembre 2018

Noi due



Ti ho visto la sera che sono arrivato, di fianco allo specchio del bagno. Certo, non sei bello. Non ti preoccupare, la coda ti ricrescerà – privilegio di voi gechi. Sei ancora piccolo, lungo meno di due falangi di un mio dito ed evidentemente ancora inesperto, se hai lasciato che qualcuno ti mozzasse la coda. Sono stato felice di rivederti in camera da letto, dopo avere cenato al ristorante. Oriana Fallaci ha scritto che Alekos Panagulis in carcere non aveva altro amico che uno scarafaggio – e tu sei molto più simpatico di uno scarafaggio, naturalmente. “Siamo soli, noi due e ci faremo compagnia”, ho pensato subito e così è stato perché tu mi segui in ogni stanza e ora sei qui sopra la mia testa, mentre scrivo. Dovresti mangiare: ho ucciso un’ape e uno scarafaggio, non so se ti piacciano. Se vuoi andare in giardino, la finestra è sempre aperta: sono un paladino della libertà, un vecchio anarchico fuggiasco che ha lasciato non una ma due mogli. No, non me ne vanto. Ho scritto tante volte che la solitudine è un anticipo di vecchiaia e lo credo davvero. Ora però mi sento vecchio – sono vecchio – e la solitudine mi pesa meno. No, non credere che non mi piacciano le donne. La cameriera l’avrei portata qui e ci saremmo divertiti, ma poi cos’altro avrei potuto offrirle, dopo una mezz’ora di “dolce su e giù”? Io non sono niente, non ho più niente e in questo mio secondo naufragio sono se possibile ancora più povero che nel primo – e sette anni più vecchio.
Noi due staremo bene, in questa casa. E’ grande (l’avevo affittata per mia suocera) e c’è un magnifico giardino. Dalla camera al primo piano si vede il mare ed è molto bello, al mattino guardare l’alba. Tu non lo puoi sapere, tu te ne stai nella camera al piano terra, dove dormo anch’io, perché è più fresca. Lì c’è lo scarafaggio, almeno assaggialo: è un mio regalo. Ti voglio bene, non esagero. Forse, semplicemente, mi manca quel pazzo rompiscatole di Wigo. Tu sei più indipendente, non mi svegli tutte le mattine alle sette per uscire, non mi stai sempre accucciato sui piedi, quando scrivo. Oggi scrivo, lo vedi dall’alto. Vedi, noi uomini siamo strani. Ci poniamo tante domande sul perché siamo vivi, sul senso di tutto questo sia dentro sia intorno a noi. E abbiamo paura della morte – anche tu l’avrai provata, quando qualcuno ti ha mozzato la coda – così cerchiamo di comunicare le nostre sensazioni, di lasciare una traccia del nostro passaggio. Siamo soltanto costruttori di ricordi, hardware che all’improvviso smette di funzionare e finisce in discarica: lo sappiamo bene e l’unica nostra ribellione è trasmettere le nostre memorie ad altro hardware. Tu, piccolo amico, devi soltanto pensare a sopravvivere e a riprodurti. Io mi sono già riprodotto due volte e l’idea di abbandonare una bambina di un anno mi provoca un dolore intollerabile. Bontà o egoismo? Forse è onesto dire entrambe le cose. Certo, se un domani diventassi uno scrittore (sì, perché per un altro dei misteri degli uomini si può diventare scrittori da morti, senza esserlo stati in vita) tutto sarebbe giustificato: “Lasciò la famiglia per ritirarsi in solitudine a scrivere e compose un capolavoro…”.
Verosimilmente tutto questo non accadrà mai e io verrò giudicato per ciò che sono: UNO PSICOPATICO FIGLIO DI PUTTANA.
Ma siamo sinceri: “Chi meglio di uno psicopatico può esserti amico?”
Non ho nessun altro, ovvio che mi affezioni a te.
Così, bevendo una bottiglia di verdicchio, controllo che tu sia sempre lì sopra e… per fortuna ci sei!
Vorrei proteggerti, sfamarti, persino farti divertire, ma ho imparato la lezione di Siddharta: Se anche io accettassi di morire cento volte per te, non riuscirei ad aiutarti a portare il peso del tuo Destino. Sì, con la d maiuscola. E’ una lunga storia, amico mio e neppure tante divertente. Poi, l’ho già raccontata e a nessuno è importato nulla di me, del mio cammino, della mia sofferenza. Sarà così anche per te, non t’illudere. Sì, magari qualcuno si fingerà interessato. Tu diffida, diffida sempre delle persone caritatevoli, prediligi i duri, quelli che soffrono – tutti soffriamo – ma lo fanno in silenzio, con dignità. E c’è una piccola lezione che voglio darti: quando sceglierai una compagna trovane una che – nonostante tutto – possieda il tesoro più bello: la gioia di vivere. La trasmetterà a te e ai tuoi figli e tu – e voi – sarete felici.
Bisogna essere forti per essere felici – nonostante tutta la brutalità della vita, con la piena consapevolezza che la vita non è meravigliosa, eppure ancora capaci di godersi una giornata di sole.
Sei una creatura notturna, magari una giornata di sole non fa per te. Bene, trova ciò che ti rende felice, lotta per ottenerlo. Non ti garantisco di farcela – io non ce l’ho fatta – ma è nella misura dello sforzo che all’ultimo istante giudicherai la tua vita.
La tua vita non vale meno della mia, questo è evidente e non c’è bisogno di scriverlo. La vita è un mistero, per noi due come per tutti. Se c’è davvero un Dio creatore, pensi che ti abbia creato a casaccio? E se non c’è, amico mio, siamo soli al mondo. Sì, amico mio, siamo noi due, in questo piccolo spazio, in questo breve tempo. Per questo non voglio perderti, perché è difficile, senza un amico, accettare la realtà.
Ho amato uomini come Richard Yates, che hanno detto chiaro e tondo che occorre coraggio per vivere pienamente consapevoli e ho persino paura di trasmettere alle mie figlie questa consapevolezza. Anche per questo ho scritto un romanzo sull’illusione, perché illudersi è un aiuto a buon mercato.
Ma Dio che pesantezza! Credi che non sappia ridere, divertirmi? Mi giudichi male. Michael Stipe canta Shiny happy people e io sto sorridendo, non lo vedi.
Voglio raccontarti una cosa magnifica che mi è capitata ieri. Va bene, ho cinquantacinque anni, tanti per un essere umano, un’eternità per un geco. Sinceramente, non sono volati via. Li ho vissuti e questa è proprio una cosa che mi consola che siano trascorsi. Bene, anche alla mia età abbordo le cameriere. Così in spiaggia – la spiaggia più alternativa e disorganizzata, di questo posto di vacanza per famiglie – due giorni fa ho attaccato discorso con Domenica. Bella donna, molto punk: capelli rossi, piercing, tatuaggi colorati. Mi ha raccontato di essersi sposata due volte con lo stesso uomo e di averci fatto due figlie. Ha vent’anni meno di me, ma l’avrei portata volentieri qui a giocare: già mi piaceva. D’accordo, non è una bellezza classica. Però ha un magnifico sorriso storto, da ragazzina povera che non poteva permettersi l’apparecchio. Le ho detto: “Sei come Liz Taylor. Quello per tuo marito deve essere stato un grande amore. E’ bello come Richard Burton?”
“No, e io non ho gli occhi viola”.
Abbiamo riso, poi le ho domandato: “State ancora insieme?”
“No, mi ha lasciata ed è scappato in Tailandia. Non paga neppure gli alimenti, né a quelle grande né a quella piccola: non voleva fare favoritismi”.
L’ho amata: spiritosa nella tragedia! Ti sembrerà poco, ma è un segno di coraggio.
“Devi essere una donna molto passionale, te lo si legge in faccia. E hai un sorriso magnifico”.
E’ diventata timida, mi ha versato un’acqua e menta ed è tornata a servire a tavola.
Ieri sono andato alla spiaggia soltanto verso sera: ho corretto le bozze del mio romanzo tutta la giornata, con te sempre in qualche angolo vicino al soffitto… Ho parcheggiato, aperto la portiera e sono stato investito dalla musica degli Aristogatti. A tutto volume! Domenica ballava con l’altra cameriera, avevano preso due ombrelloni e ballavano, abbracciate agli ombrelloni, ridendo come matte!
Quella donna è un’artista, te lo dico io. Non ha trovato la sua strada, ma guardarla ridere è contagioso. Certo, le signore benpensanti, le borghesucce della spiaggia accanto la reputerebbero soltanto una pazza drogata o una ritardata mentale. Io no, perché loro sono proprio le lettrici di best-seller che mi giudicheranno uno psicopatico figlio di puttana se non venderò un milione di copie. E io so perfettamente di non potere vendere un milione di copie. Il giudizio è puramente economico, come tutti i giudizi di questo mondo contemporaneo. Del resto, del valore di uno scrittore, loro, cosa ne capiscono?
Infatti io non ce l’ho con loro, sono povere deficienti. Ce l’ho con lei, la signora bionda, quella che mi ha stroncato perché “maschilista, volgare e deprimente”.
Linda, si chiama Linda. L’ho incontrata di sfuggita, giusto il tempo di lasciarle il manoscritto (abbiamo un amico comune, altrimenti non mi avrebbe dedicato neppure quei venti secondi).
Poi, giusto per dimostrare al nostro amico che aveva fatto il suo compitino, mi ha inviato – con copia a lui – quella mail ignobile. Io non sono una persona violenta, un maschilista meno che mai. Deprimente lo ammetto, giusto qualche volta. Ma volgare lo divento in rarissime occasioni, quando proprio perdo la pazienza e non ho altre risorse: l’avrei inculata, proprio fino in fondo, amico mio. E le sarei venuto dentro felice, appagato di avere compiuto un atto di giustizia. Il sesso – tu sei piccolo – può essere un gesto d’amore (e allora è meraviglioso), lo sfogo di un istinto, di una necessità fisica (e allora è simile ad andar di corpo) oppure un atto di sopraffazione (e questo può essere molto eccitante, sia per l’aggressore che per la vittima, anche se si tende a non dirlo in giro per evitare stupri di massa, che poi puntualmente si verificano appena l’uomo si riappropria della brutalità che ha in sé, come nelle guerre).
Cosa credi che possa capire dell’arte una maestrina come Linda? Certo, lei va ai musei. E guarda estasiata i quadri di Gauguin, senza pensare che lui per quei quadri e per le tahitiane aveva abbandonato moglie e famiglia. Soprattutto, non capirà mai che c’è una relazione diretta tra quei capolavori e l’abbandono di moglie e famiglia. Perché l’artista ha bisogno di solitudine, dolore e amore per creare un’opera un capolavoro.
STOP. Non vorrei essere frainteso, non mi sto giustificando. Sono qui - noi due siamo qui – perché me ne sono andato. Se fossi qui con loro, dovrei fare la spesa, cucinare, scarrozzarli, ascoltare i loro discorsi, persino i capricci e come potrei starmene a scrivere in santa pace? Quindi siamo alle solite: s’io fossi uno scrittore di successo, tutto sarebbe normale e giustificabile. Non lo sono – non lo sarò – quindi sono quello che sono.
Anche Linda è quello che è e anche se l’inculassi cento volte, resterebbe così com’è.
Mia moglie (le mie mogli) sono come lei. Non mi capiscono, non mi hanno mai capito e non mi capiranno. Chissà come saranno le mie figlie. Con loro è diverso. Loro le amerò sempre, a prescindere da ciò che penseranno di me. E, in fondo, cosa posso pretendere? Le ho abbandonate per inseguire un sogno, scrivere, senza successo.
Gli alimenti li ho sempre pagati alla prima e li pagherò alla seconda: anch’io non voglio fare favoritismi.
Non so come voi gechi vi comportiate coi figli: siete padri affettuosi e presenti oppure lasciate il compito di crescerli alle madri?
Ho osservato Domenica con le sue bambine: sembrano equilibrate e felici. Forse un padre non è indispensabile come crediamo, sono luoghi comuni, buonismo da quattro soldi. Io il mio non l’ho mai sopportato. Tu sei lì da solo – e sei minuscolo, ancora un cucciolo.
Sarebbe bello se sapessi ballare: ballerei sulle musiche degli Aristogatti o di Mary Poppins abbracciato a un ombrellone e credo che mi farebbe bene. Forse dovrei finalmente lasciar perdere il verdicchio e farmi di qualcosa di serio, come Jim Morrison: la mia creatività verrebbe fuori. E poi? Avrei fottuto la mia vita per scrivere cose di nessun interesse per chi davvero ha il potere di rendermi uno scrittore: Linda.
Cinquantacinque anni e sono ancora capace di innamorarmi – giusto un po’ – di una donna come Domenica. Per una notte sarebbe magnifico, ne sono certo. Poi, la realtà del mattino ferirebbe le nostre anime sensibili, come una luce accecante. Vivi l’attimo, se sei davvero un artista. Scusami, l’arte è una cosa da esseri umani e tu sei un geco. Però vivi l’attimo anche tu, perché “It is an hypothesis that the sun will rise tomorrow: and this means that we do not know whether it will rise” (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus).
Sì, mi piace Wittgenstein e non ne faccio mistero. Il Tractatus l’ho letto in inglese. Molte parti sono davvero oscure, lo ammetto. Ma a quell’uomo che puliva la casa con le foglie di tè io devo molto.
Preferisci la casa pulita o sporca? Per me è lo stesso, sono una persona adattabile. Sono molto ordinato, faccio una lavatrice ogni due giorni, ma la polvere se vuoi la lascio. Alzo la testa, hai appena mangiato un insetto. Un moscerino forse o una zanzara. Bravo, io mi bevo un altro po’ di verdicchio e mi mangio una fetta di crostata.
Il sole sta calando, tra poco uscirò in giardino e mi metterò a scrivere sotto il bersò. E’ bello, lì fuori, ma forse per te è pericoloso. Ci sono i due gatti del vicino, rane, lucertole e qualche calabrone. Il mondo è pieno di pericoli, ma io ti consiglio di non lasciarti condizionare: esci, vivi! Ricorda, lo ripeto: è nella misura dello sforzo che all’ultimo istante giudicherai la tua vita. Qui oggi abbiamo tutto ciò che ci serve: una bella casa comoda, un giardino, acqua e cibo, un computer.
Quello serve a me, per scrivere di noi due.

Linda



“Buongiorno signorina”.
“Signora, per favore. Riccetti, ho prenotato un ombrellone e una sdraio”.
Il bagnino cerca sulla piantina della spiaggia. Finalmente trova il nome: “Subito signora Riccetti, terza fila, l’accompagno”.
“No guardi, io avevo chiesto espressamente prima fila. Prima fila o niente, in terza fila non ci vado”.
“Signorina, oggi è il 14 agosto, la spiaggia è piena, posti in prima fila non ce ne ho”.
“In terza fila non ci vado”.
“Posso metterla in seconda, ma soltanto fino alle tre, poi la signora Rampezzotti arriva e vuole il suo ombrellone”.
“E lei la metta in terza fila”, sorride allungando una banconota da dieci euro.
Il bagnino prende la banconota e, facendo strada, risponde: “Magari si libererà un posto, dopo vediamo”. Poi, davanti all’ombrellone, conclude: “Ecco la sua sdraia, signorina”.
A denti stretti, Linda mormora: “Sdraio, signora”.
Poi, togliendo la sabbia con estrema cura, pensa: “So bene che è corretta anche la forma la sdraia, ma la sdraio è tanto più elegante, come signora rispetto a signorina. Nessuna donna dovrebbe essere chiamata signorina dopo i diciotto anni e io ne ho trentacinque…”.
Nel posacenere sotto l’ombrellone nota un mozzicone di sigaretta e, inorridita, richiama il bagnino.
“Io non so perché la gente fumi in spiaggia. Non sanno che il mare è pieno di filtri di sigaretta e cotton fioc?”
“Sì, signorina, ha ragione. E pure di assorbenti”.
Linda fa una smorfia di disgusto, un po’ per la volgarità di quest’uomo e un po’ perché ha schifo persino dei suoi assorbenti. Poi, messo perfettamente dritto sul lettino un pareo comprato a un mercatino di prodotti etnici ecosostenibili, si sfila l’abito di Zara, apre la borsa di rafia di Missoni e tira fuori il libro vincitore del Premio Strega, gli occhiali da sole con le lenti fotocromatiche, una bandana comprata a Mykonos e l’iPhone 7.
Prima di mettersi a leggere, controlla che la testa sia perfettamente in ombra – se no le vengono le rughe.
“Che bravo questo Cognetti. E’ proprio un peccato che non sia venuto da me col suo manoscritto, l’avrei di certo pubblicato. Un ragazzo solido, quadrato, all’antica. Certo, la montagna, coi suoi valori immutabili, è un tema elevato, nobile. Non come i temi di questi aspiranti maudit di oggi che dopo tre pagine spiattellano le loro squallide storie coniugali e dopo altre venti descrivono un pompino in macchina!”
Pensa pompino e quel pom le riempie la bocca, quasi che lo stesse facendo lei, davvero. Poi si vergogna della sua volgarità: “Mi ha contagiata, penso già come lui: pompino al posto di sesso orale, o blow-job, che suona tanto più elegante”. 
Legge qualche pagina, poi il pianto di una neonata nella terza fila di ombrelloni la infastidisce: “Che cosa orribile, è lì, piccola e tutta rossa nella culla; sicuramente piena di cacca. E la madre non la cambia, se ne sta a chiacchierare con l’amica”. Lancia un’occhiataccia alla madre, che visibilmente infastidita da questa sconosciuta scheletrica che la guarda da sopra le lenti degli occhiali (è presbite), finalmente cambia il pannolino e getta quello sporco sulla sabbia, sotto la sdraio.
“Mio Dio che orrore. Ha buttato il pannolino pieno di cacca sulla sabbia. Poi magari qualcuno andrà proprio lì a sdraiarsi”.
Si rimette a leggere, rimpiangendo di non essere andata a Courmayeur.
Una mezz’ora più tardi, sente di avere i piedi al sole, le viene caldo e decide di andare a farsi una nuotata. Ripone con cura tutte le sue cose nella borsa, la affida a una vecchia signora due ombrelloni più in là: “Grazie signora, vede, sono sola e ho paura che me la rubino” e fa del suo meglio per non mettersi a correre per la sabbia rovente sotto i piedi. Giunta in acqua, prima si bagna la nuca e i polsi, poi fa quattro passi e si siede, piano piano, nell’acqua. La congestione non è pericolo da sottovalutare e soltanto quando le sembra di non correre pericoli finalmente incomincia a nuotare a rana verso il largo.
Dopo pochi metri, si volta e guarda la gente sulla battigia. “Certo che questi bagnanti sono proprio ripugnanti. Uomini tatuati, donne col piercing e i buchi di cellulite, ciabatte di plastica, costumi fosforescenti, chiome da selvaggi: creste, tinture rosso menopausa, treccine che erano già inguardabili ai tempi di Bo Derek…”
Tornando verso riva, ascolta due signori sessantenni che discutono di politica: “Era meglio quando c’era la democrazia cristiana, adesso ‘sti renziani pensano soltanto a litigare”.
Lei è renziana convinta, conosce personalmente Alessandro Baricco, Fabio Fazio e Massimo Gramellini, naturalmente: “Cosa pensano di capire questi due vecchi scemi? Gli italiani sono sempre così, pronti a dire al bar si stava meglio quando si stava peggio”. Ride da sola.
Le scappa la pipì e la fa in acqua, piegando le ginocchia per non farsi notare. Prima però scosta appena il costume, per non sporcarlo.
Dopo una doccia, fatta con le infradito per non prendersi le verruche, si rimette a leggere.
“Sì, la montagna. I suoi panorami immutabili, la sua asprezza che tempra il carattere, i suoi sapori sapidi… Mauro Corona però puzza. Ha smesso di lavarsi e beve: ascelle e alito fetenti. No, non è l’unico scrittore sporco. Anzi, a pensarci bene puzzano in tanti. Il maudit non puzzava, strano. Un maiale come lui, che va a puttane e si fa fare i pompini in macchina. Di nuovo, quel POM le riempie la bocca. Mio Dio, che schifo: come si può prendere in bocca un orifizio da cui escono le urine? Pensa a Michel Houellebecq, che ha avuto la sfrontatezza di descrivere un anilingus, e quasi si sente male per lo schifo. “Che maiale quel francese. Mai e poi mai lo avrei pubblicato. Eppure ha i suoi sostenitori, persino la Pucci, che lavora in Mondadori da anni, lo trova geniale. No, proprio non è il mio genere di letteratura. Meglio Erri De Luca, così politicamente corretto. Mai una parola sopra le righe, sempre misurato, equilibrato nei suoi giudizi. Ed è un uomo dalla parte giusta (la nostra, pensa), un NO TAV.
Poi, si vende bene. Certo, incassa fior di diritti. Ma è un vero professionista, prolifico e redditizio.
Sposta il lettino perfettamente all’ombra, riprende le sue cose dalla borsetta che ha ritirato dalla vecchia signora (un’impicciona! “E’ sola, signorina?” “Sì, signora”. “Che peccato, una così bella ragazza”. Per poco non l’ha spedita a fare in culo, la nonnetta). Sì, sono sola: e allora? Nel 2017 una donna non può andarsene in vacanza da sola? Sono sola e me ne vanto. E dirigo una delle più importanti case editrici italiane, signora mia, casalinga di Voghera del cazzo! Meglio sole che male accompagnate. Legge ancora per un’oretta, poi – alle dodici e mezzo – si avvia verso il ristorante.
“Buongiorno signorina, è sola?”, la accoglie il maître. Aridaje!
“Tavolo in fondo a destra, le faccio subito portare la carta”.
“Sì, per favore. E una bottiglia di vetro di acqua non gasata non fredda, per favore”.
“Di vetro non so se ce l’abbiamo…”.
Un ragazzino con la parannanza da cameriere, appena dietro il maître, interviene: “Non si preoccupi, ce l’abbiamo” e arriva a porgerle il menu.
“Un’insalata mista, senza tonno, sono vegana. E senza cipolla per favore”.
“Subito signorina”.
L’insalata le sembra lavata male. Trova qualcosa di scuro, disgustata la rimanda indietro. Accanto a lei, una tavolata di anziane coppie s’ingozza di antipasto di mare. “Sono vecchi maiali. Guarda come s’abboffano. Grassi, orrendi e felici”.
Finalmente le riportano l’insalata, ne assaggia due foglie e la lascia lì.
“Un dessert?”, domanda il cameriere, pronunziando la t con l’aria tronfia del vero ignorante”.
“No, grazie. Niente dessert, gli fa eco lei, sorridendo del suo spiccato senso dell’umorismo”.
Accanto si siedono due tatuati con ciabatte Adidas e iniziano a parlare della campagna acquisti della Ternana. Questo è troppo: passino i tifosi di squadre blasonate, ma della Ternana…
Si alza, torna al suo ombrellone e si rimette a leggere.
Dietro di lei due ragazzini si raccontano cazzate. La vecchia impicciona le sorride due ombrelloni più in là. Lei ricambia il sorriso e sussurra a denti stretti “vaffanculo”.
“Che uomo, questo Cognetti. Certo, un po’ giovane per me. Poi è uno scrittore, sai che palle? Questi scrittori sono dei narcisisti, persone di cui bisogna diffidare. Non vedono più in là del loro ombelico. Qualcuno arriva fino al suo cazzo”. Ride della battuta che ha pensato e si compiace della sua arguzia. “Quel POMpino, che volgarità!”
Ma io l’ho messo al suo posto: “Maschilista, volgare e deprimente”, gli ho scritto. Con copia al suo amico, naturalmente, così la smetterà di farmi leggere manoscritti di tipi da bar sport. Mi pare di ricordare che sia un avvocato: sai che roba, oggi ci sono più avvocati che operai!
Gli uomini di oggi sono davvero poca cosa, rispetto a quelli che c’erano (ci sono?) in montagna. Uomini coi coglioni, disposti a fare sacrifici per i propri figli. Rispettosi delle mogli, della donna in genere. Certo, le mogli facevano sette otto marmocchi e si alzavano alle cinque del mattino, col freddo, per mungere gli animali. Ma quella era una vita sana! Civiltà contadina, pulizia di sentimenti, persino con le scarpe immerse nel letame. Un montanaro buddista, certamente. Lei è buddista, sarebbe l’ideale. Fare yoga insieme, recitare l’OM tibetano, riflettere sulla reincarnazione…
Cognetti è troppo giovane. Corona è troppo vecchio e puzza… Le riflessioni sono interrotte dal passaggio di un ragazzone biondo palestrato con uno slippino bianco che nulla lascia all’immaginazione: “Che bel tipo! Sano e sportivo. Magari è vegano come me”. Un istante dopo il biondo si volta, si ferma e aspetta che lo raggiunga il suo compagno, un magrolino con gli occhiali leopardati e una camminata decisamente ambigua. "Due checche. Per carità, niente di male. Le redazioni ne sono piene e a volte sono anche simpatici. Però non è giusto che gli uomini belli siano tutti dell’altra sponda, ecco tutto”. Compiaciuta della sua saggezza politicamente corretta, si rimette tranquilla a leggere.
Dopo un altro bagno – due ore dopo il pranzo, non prima né dopo – mentre finalmente si gode l’ombra ad occhi chiusi, sente un tocco sulla spalla. Apre gli occhi: la vecchia impicciona è sopra di lei. “Signorina, io vado a casa. La rivedo domani?”
“Sì, perché?”
“Perché domani forse arriverà da Macerata mio nipote. Magari glielo presento, è un così bravo ragazzo…”.
Un sorriso forzato le paralizza i lineamenti: “Grazie, ma sono impegnata. Lui è a Milano, a lavorare. Sa, noi milanesi…”.
“Si figuri, mi scusi tanto. Avevo frainteso. A domani, allora”.
Più tardi a casa, tornata dalla spiaggia, va a farsi una doccia. E’ la sua prima doccia in quella casa affittata. Apre la porta di vetro e si ritrova davanti a una strana apparecchiatura Teuco, da cui spuntano due docce (una sopra la testa e una all’altezza delle cosce) e quattro ugelli regolabili inseriti in una specie di guscio di tartaruga rovesciato. Gira il primo rubinetto – ce ne sono tre – e un getto d’acqua fredda la colpisce in testa. Lo chiude, regola la temperatura e gira il secondo: quattro getti usciti dagli ugelli la colpiscono su spalle e pancia. “Se devono fare un massaggio, sono regolati troppo in alto”. Con la sua consueta precisione li studia e poi li regola: i due più in alto all’altezza dei capezzoli e i due più in basso, incrociati, proprio lì.
Sorride soddisfatta. Apre anche il terzo: un getto sulle ginocchia: gira il telefono, fa un passo avanti per farsi colpire da dietro. Poi chiude tutto eccetto quello sulla testa e s’insapona con cura. Pensa al biondo palestrato. Riapre tutto e si posiziona come un perfetto bersaglio. Il biondo ora monta l’amichetto. Riduce appena il getto, troppo forte e torna in posizione. “Il maudit non era un brutto uomo. E non è neppure uno scrittore, per fortuna. E’ soltanto un maschilista volgare”.
Inizia a gemere e, senza accorgersene, si ripete due, tre volte POMpino. Viene belando, come le capre munte all’alba dalla montanara.
“Teuco, tutte le donne dovrebbero averne una. Chissà quanto costa”.
Prende l’asciugamano, memorizza la sigla della doccia. “Sarebbe bello se dalla doccetta in basso uscisse vero sperma. Sai quante donne farebbero a meno di un uomo. Gli uomini sono animali volgari. Vuoi un figlio? Ti fai una doccia e via. Un figlio, che follia. Poi si riempie di cacca e ti tocca pulirlo, per carità!” Sul letto, prima di rimettersi a leggere il romanzo di Cognetti, pensa che la sua sarà proprio una bella vacanza. Nonostante il bagnino che dice la sdraia. Nonostante la gente orrenda sulla spiaggia.
Il mondo fa schifo ma lei, Linda, è bella e pulita.