Ti
ho visto la sera che sono arrivato, di fianco allo specchio del bagno. Certo,
non sei bello. Non ti preoccupare, la coda ti ricrescerà – privilegio di voi
gechi. Sei ancora piccolo, lungo meno di due falangi di un mio dito ed
evidentemente ancora inesperto, se hai lasciato che qualcuno ti mozzasse la
coda. Sono stato felice di rivederti in camera da letto, dopo avere cenato al
ristorante. Oriana Fallaci ha scritto che Alekos Panagulis in carcere non aveva
altro amico che uno scarafaggio – e tu sei molto più simpatico di uno
scarafaggio, naturalmente. “Siamo soli, noi due e ci faremo compagnia”, ho
pensato subito e così è stato perché tu mi segui in ogni stanza e ora sei qui
sopra la mia testa, mentre scrivo. Dovresti mangiare: ho ucciso un’ape e uno
scarafaggio, non so se ti piacciano. Se vuoi andare in giardino, la finestra è
sempre aperta: sono un paladino della libertà, un vecchio anarchico fuggiasco
che ha lasciato non una ma due mogli. No, non me ne vanto. Ho scritto tante
volte che la solitudine è un anticipo di vecchiaia e lo credo davvero. Ora però
mi sento vecchio – sono vecchio – e la solitudine mi pesa meno. No, non credere
che non mi piacciano le donne. La cameriera l’avrei portata qui e ci saremmo
divertiti, ma poi cos’altro avrei potuto offrirle, dopo una mezz’ora di “dolce
su e giù”? Io non sono niente, non ho più niente e in questo mio secondo
naufragio sono se possibile ancora più povero che nel primo – e sette anni più
vecchio.
Noi
due staremo bene, in questa casa. E’ grande (l’avevo affittata per mia suocera)
e c’è un magnifico giardino. Dalla camera al primo piano si vede il mare ed è
molto bello, al mattino guardare l’alba. Tu non lo puoi sapere, tu te ne stai
nella camera al piano terra, dove dormo anch’io, perché è più fresca. Lì c’è lo
scarafaggio, almeno assaggialo: è un mio regalo. Ti voglio bene, non esagero.
Forse, semplicemente, mi manca quel pazzo rompiscatole di Wigo. Tu sei più
indipendente, non mi svegli tutte le mattine alle sette per uscire, non mi stai
sempre accucciato sui piedi, quando scrivo. Oggi scrivo, lo vedi dall’alto.
Vedi, noi uomini siamo strani. Ci poniamo tante domande sul perché siamo vivi,
sul senso di tutto questo sia dentro sia intorno a noi. E abbiamo paura della
morte – anche tu l’avrai provata, quando qualcuno ti ha mozzato la coda – così
cerchiamo di comunicare le nostre sensazioni, di lasciare una traccia del
nostro passaggio. Siamo soltanto costruttori di ricordi, hardware che
all’improvviso smette di funzionare e finisce in discarica: lo sappiamo bene e
l’unica nostra ribellione è trasmettere le nostre memorie ad altro hardware.
Tu, piccolo amico, devi soltanto pensare a sopravvivere e a riprodurti. Io mi
sono già riprodotto due volte e l’idea di abbandonare una bambina di un anno mi
provoca un dolore intollerabile. Bontà o egoismo? Forse è onesto dire entrambe
le cose. Certo, se un domani diventassi uno scrittore (sì, perché per un altro
dei misteri degli uomini si può diventare scrittori da morti, senza esserlo
stati in vita) tutto sarebbe giustificato: “Lasciò la famiglia per ritirarsi in
solitudine a scrivere e compose un capolavoro…”.
Verosimilmente
tutto questo non accadrà mai e io verrò giudicato per ciò che sono: UNO
PSICOPATICO FIGLIO DI PUTTANA.
Ma
siamo sinceri: “Chi meglio di uno psicopatico può esserti amico?”
Non
ho nessun altro, ovvio che mi affezioni a te.
Così,
bevendo una bottiglia di verdicchio, controllo che tu sia sempre lì sopra e…
per fortuna ci sei!
Vorrei
proteggerti, sfamarti, persino farti divertire, ma ho imparato la lezione di
Siddharta: Se anche io accettassi di morire cento volte per te, non riuscirei
ad aiutarti a portare il peso del tuo Destino. Sì, con la d maiuscola. E’ una
lunga storia, amico mio e neppure tante divertente. Poi, l’ho già raccontata e
a nessuno è importato nulla di me, del mio cammino, della mia sofferenza. Sarà
così anche per te, non t’illudere. Sì, magari qualcuno si fingerà interessato.
Tu diffida, diffida sempre delle persone caritatevoli, prediligi i duri, quelli
che soffrono – tutti soffriamo – ma lo fanno in silenzio, con dignità. E c’è una
piccola lezione che voglio darti: quando sceglierai una compagna trovane una
che – nonostante tutto – possieda il tesoro più bello: la gioia di vivere. La
trasmetterà a te e ai tuoi figli e tu – e voi – sarete felici.
Bisogna
essere forti per essere felici – nonostante tutta la brutalità della vita, con
la piena consapevolezza che la vita non è meravigliosa, eppure ancora capaci di
godersi una giornata di sole.
Sei
una creatura notturna, magari una giornata di sole non fa per te. Bene, trova
ciò che ti rende felice, lotta per ottenerlo. Non ti garantisco di farcela – io
non ce l’ho fatta – ma è nella misura dello sforzo che all’ultimo istante
giudicherai la tua vita.
La
tua vita non vale meno della mia, questo è evidente e non c’è bisogno di
scriverlo. La vita è un mistero, per noi due come per tutti. Se c’è davvero un
Dio creatore, pensi che ti abbia creato a casaccio? E se non c’è, amico mio,
siamo soli al mondo. Sì, amico mio, siamo noi due, in questo piccolo spazio, in
questo breve tempo. Per questo non voglio perderti, perché è difficile, senza
un amico, accettare la realtà.
Ho
amato uomini come Richard Yates, che hanno detto chiaro e tondo che occorre
coraggio per vivere pienamente consapevoli e ho persino paura di trasmettere
alle mie figlie questa consapevolezza. Anche per questo ho scritto un romanzo
sull’illusione, perché illudersi è un aiuto a buon mercato.
Ma
Dio che pesantezza! Credi che non sappia ridere, divertirmi? Mi giudichi male.
Michael Stipe canta Shiny happy people e io sto sorridendo, non lo vedi.
Voglio
raccontarti una cosa magnifica che mi è capitata ieri. Va bene, ho
cinquantacinque anni, tanti per un essere umano, un’eternità per un geco.
Sinceramente, non sono volati via. Li ho vissuti e questa è proprio una cosa
che mi consola che siano trascorsi. Bene, anche alla mia età abbordo le
cameriere. Così in spiaggia – la spiaggia più alternativa e disorganizzata, di
questo posto di vacanza per famiglie – due giorni fa ho attaccato discorso con
Domenica. Bella donna, molto punk: capelli rossi, piercing, tatuaggi colorati.
Mi ha raccontato di essersi sposata due volte con lo stesso uomo e di averci
fatto due figlie. Ha vent’anni meno di me, ma l’avrei portata volentieri qui a
giocare: già mi piaceva. D’accordo, non è una bellezza classica. Però ha un
magnifico sorriso storto, da ragazzina povera che non poteva permettersi
l’apparecchio. Le ho detto: “Sei come Liz Taylor. Quello per tuo marito deve
essere stato un grande amore. E’ bello come Richard Burton?”
“No,
e io non ho gli occhi viola”.
Abbiamo
riso, poi le ho domandato: “State ancora insieme?”
“No,
mi ha lasciata ed è scappato in Tailandia. Non paga neppure gli alimenti, né a
quelle grande né a quella piccola: non voleva fare favoritismi”.
L’ho
amata: spiritosa nella tragedia! Ti sembrerà poco, ma è un segno di coraggio.
“Devi
essere una donna molto passionale, te lo si legge in faccia. E hai un sorriso
magnifico”.
E’
diventata timida, mi ha versato un’acqua e menta ed è tornata a servire a
tavola.
Ieri
sono andato alla spiaggia soltanto verso sera: ho corretto le bozze del mio
romanzo tutta la giornata, con te sempre in qualche angolo vicino al soffitto…
Ho parcheggiato, aperto la portiera e sono stato investito dalla musica degli
Aristogatti. A tutto volume! Domenica ballava con l’altra cameriera, avevano
preso due ombrelloni e ballavano, abbracciate agli ombrelloni, ridendo come
matte!
Quella
donna è un’artista, te lo dico io. Non ha trovato la sua strada, ma guardarla
ridere è contagioso. Certo, le signore benpensanti, le borghesucce della
spiaggia accanto la reputerebbero soltanto una pazza drogata o una ritardata
mentale. Io no, perché loro sono proprio le lettrici di best-seller che mi
giudicheranno uno psicopatico figlio di puttana se non venderò un milione di
copie. E io so perfettamente di non potere vendere un milione di copie. Il
giudizio è puramente economico, come tutti i giudizi di questo mondo
contemporaneo. Del resto, del valore di uno scrittore, loro, cosa ne capiscono?
Infatti
io non ce l’ho con loro, sono povere deficienti. Ce l’ho con lei, la signora
bionda, quella che mi ha stroncato perché “maschilista, volgare e deprimente”.
Linda,
si chiama Linda. L’ho incontrata di sfuggita, giusto il tempo di lasciarle il
manoscritto (abbiamo un amico comune, altrimenti non mi avrebbe dedicato
neppure quei venti secondi).
Poi,
giusto per dimostrare al nostro amico che aveva fatto il suo compitino, mi ha
inviato – con copia a lui – quella mail ignobile. Io non sono una persona
violenta, un maschilista meno che mai. Deprimente lo ammetto, giusto qualche
volta. Ma volgare lo divento in rarissime occasioni, quando proprio perdo la
pazienza e non ho altre risorse: l’avrei inculata, proprio fino in fondo, amico
mio. E le sarei venuto dentro felice, appagato di avere compiuto un atto di giustizia.
Il sesso – tu sei piccolo – può essere un gesto d’amore (e allora è
meraviglioso), lo sfogo di un istinto, di una necessità fisica (e allora è
simile ad andar di corpo) oppure un atto di sopraffazione (e questo può essere
molto eccitante, sia per l’aggressore che per la vittima, anche se si tende a
non dirlo in giro per evitare stupri di massa, che poi puntualmente si
verificano appena l’uomo si riappropria della brutalità che ha in sé, come
nelle guerre).
Cosa
credi che possa capire dell’arte una maestrina come Linda? Certo, lei va ai
musei. E guarda estasiata i quadri di Gauguin, senza pensare che lui per quei
quadri e per le tahitiane aveva abbandonato moglie e famiglia. Soprattutto, non
capirà mai che c’è una relazione diretta tra quei capolavori e l’abbandono di
moglie e famiglia. Perché l’artista ha bisogno di solitudine, dolore e amore
per creare un’opera un capolavoro.
STOP.
Non vorrei essere frainteso, non mi sto giustificando. Sono qui - noi due siamo
qui – perché me ne sono andato. Se fossi qui con loro, dovrei fare la spesa,
cucinare, scarrozzarli, ascoltare i loro discorsi, persino i capricci e come
potrei starmene a scrivere in santa pace? Quindi siamo alle solite: s’io fossi
uno scrittore di successo, tutto sarebbe normale e giustificabile. Non lo sono
– non lo sarò – quindi sono quello che sono.
Anche
Linda è quello che è e anche se l’inculassi cento volte, resterebbe così com’è.
Mia
moglie (le mie mogli) sono come lei. Non mi capiscono, non mi hanno mai capito
e non mi capiranno. Chissà come saranno le mie figlie. Con loro è diverso. Loro
le amerò sempre, a prescindere da ciò che penseranno di me. E, in fondo, cosa
posso pretendere? Le ho abbandonate per inseguire un sogno, scrivere, senza
successo.
Gli
alimenti li ho sempre pagati alla prima e li pagherò alla seconda: anch’io non
voglio fare favoritismi.
Non
so come voi gechi vi comportiate coi figli: siete padri affettuosi e presenti
oppure lasciate il compito di crescerli alle madri?
Ho
osservato Domenica con le sue bambine: sembrano equilibrate e felici. Forse un
padre non è indispensabile come crediamo, sono luoghi comuni, buonismo da
quattro soldi. Io il mio non l’ho mai sopportato. Tu sei lì da solo – e sei
minuscolo, ancora un cucciolo.
Sarebbe
bello se sapessi ballare: ballerei sulle musiche degli Aristogatti o di Mary
Poppins abbracciato a un ombrellone e credo che mi farebbe bene. Forse dovrei
finalmente lasciar perdere il verdicchio e farmi di qualcosa di serio, come Jim
Morrison: la mia creatività verrebbe fuori. E poi? Avrei fottuto la mia vita
per scrivere cose di nessun interesse per chi davvero ha il potere di rendermi
uno scrittore: Linda.
Cinquantacinque
anni e sono ancora capace di innamorarmi – giusto un po’ – di una donna come
Domenica. Per una notte sarebbe magnifico, ne sono certo. Poi, la realtà del
mattino ferirebbe le nostre anime sensibili, come una luce accecante. Vivi
l’attimo, se sei davvero un artista. Scusami, l’arte è una cosa da esseri umani
e tu sei un geco. Però vivi
l’attimo anche tu, perché “It is an hypothesis
that the sun will rise tomorrow: and this means that we do not know whether it
will rise” (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus).
Sì,
mi piace Wittgenstein e non ne faccio mistero. Il Tractatus l’ho letto in
inglese. Molte parti sono davvero oscure, lo ammetto. Ma a quell’uomo che
puliva la casa con le foglie di tè io devo molto.
Preferisci
la casa pulita o sporca? Per me è lo stesso, sono una persona adattabile. Sono
molto ordinato, faccio una lavatrice ogni due giorni, ma la polvere se vuoi la
lascio. Alzo la testa, hai appena mangiato un insetto. Un moscerino forse o una
zanzara. Bravo, io mi bevo un altro po’ di verdicchio e mi mangio una fetta di
crostata.
Il
sole sta calando, tra poco uscirò in giardino e mi metterò a scrivere sotto il
bersò. E’ bello, lì fuori, ma forse per te è pericoloso. Ci sono i due gatti
del vicino, rane, lucertole e qualche calabrone. Il mondo è pieno di pericoli,
ma io ti consiglio di non lasciarti condizionare: esci, vivi! Ricorda, lo
ripeto: è nella misura dello sforzo che all’ultimo istante giudicherai la tua
vita. Qui oggi abbiamo tutto ciò che ci serve: una bella casa comoda, un
giardino, acqua e cibo, un computer.
Quello
serve a me, per scrivere di noi due.