Da
A a B
PREFAZIONE
Romanzo in tre parti, dall’architettura complessa: tre io
narranti e un narratore. Nella prima (dedicata al Destino), un uomo - Giulio di
Tocco - narra in prima persona la sua vicenda. Il Destino gli ha giocato un
brutto scherzo, facendogli perdere in un istante salute, famiglia e lavoro.
Risvegliatosi dal coma in un reparto di rianimazione, Giulio sente di avere
perso il suo posto nel mondo e inizia un percorso di rinascita (che lui
definisce “un naufragio”), che porta all’accettazione del proprio Destino.
Sembrerebbe una trama scontata, patetica. Al contrario, la prima parte è un
susseguirsi di sorprese, grazie a un personaggio straordinario: sensibile,
spiritoso e profondo. Nella seconda parte (dedicata all’illusione), Giulio vola
a Donetsk, in Ucraina, per incontrare Masha. La loro storia viene narrata da
entrambi, io narranti che si alternano con risultati sorprendenti. Tra
parentesi, perché poco importa al lettore, la seconda parte – che nell’opera
viene definita il romanzo di fantasia – è invece l’unica autobiografica: Tocchi
ha sposato la sua Masha (Tanya) ed è nata Milena, come Masha tanto desiderava. Il
finale – in linea con il tema di fondo, l’Illusione” - sembra un inizio:
l’inizio di quella “vita nuova” tanto agognata da Giulio. Nella terza parte
(dedicata alla nostalgia), l’io narrante protagonista è Alice, moglie e madre
di due figli. L’incontro casuale a Nizza con Giulio sconvolgerà la sua vita:
deciderà di lasciare suo marito e di scrivere la propria autobiografia “per
smettere di soffrire”. Proprio in quell’autobiografia, terminata ad Anguilla,
sua isola d’origine, il lettore ritroverà Giulio, proprio come lei ha ritrovato
il suo vero padre, il cantante reggae Bankie Banx. L’epilogo è affidato a un
narratore, ed è un flashback sulla vita di Giulio e, soprattutto, sulla
scrittura come tentativo di comunicazione con “sconosciuti amici”.
Già da queste poche righe, appare evidente la complessità
architettonica del romanzo, costato al suo autore tre anni di lavoro, una vera e
propria “sospensione della vita” e una fortuna in termini economici, dato che
Tocchi era (è) un avvocato ben pagato che ha quasi smesso di lavorare soltanto
per terminare questo romanzo. Sarebbe riduttivo scrivere che è la biografia di
Giulio o, come semplicisticamente ha affermato qualcun altro, che è
l’autobiografia dell’autore: in ogni occasione Tocchi ha smentito
categoricamente che questa sia un’opera autobiografica, definendola un’opera
“in parte autobiografica” e, con le celebri parole di Italo Svevo,
“un’autobiografia, ma non la mia”. In realtà l’opera è molto più complessa e si
presta a diversi piani di lettura. Senza dubbio, è un romanzo sull’arte e in
particolare sull’esigenza percepita da ogni artista di lasciare una traccia del
proprio passaggio. E’ altrettanto evidente che sia una storia sul valore
consolatorio dell’amore, tanto ricercato da Giulio in quanto “unica cosa che
può rendere tollerabile la mia sconfitta”. Tocchi usa il parallelismo tra il
percorso di Giulio e un naufragio, dimostrando di avere letto e ben compreso
l’esempio fatto da Bertrand Russell quando scrisse che un conto è osservare
un’isola dal ponte del proprio yacht, trovarla magnifica e desiderare di
sbarcarvi in tutta sicurezza, un altro è osservare la stessa isola da una zattera:
il desiderio di sbarco è l’unica costante! Così fa Giulio con Alice,
naturalmente non riesce a conquistarla e questo porta alle estreme conseguenze.
Se fosse un’autobiografia, come potremmo collocare Masha e Alice? Io narranti
al pari di Giulio, queste due donne sono altrettanto credibili, un aspetto a
cui non è stato dato sufficiente risalto. La realtà è sotto gli occhi del
lettore: l’autore è capace di rendere credibili tutti i protagonisti, non è uno
dei tanti scrittori di mainstream
capaci di parlare soltanto di se stessi (il paragone con La vita oscena di Aldo
Nove, citato anche nel romanzo, è particolarmente calzante) Ma gli spunti di
riflessione non si fermano certo a questi primi più evidenti aspetti. Al
lettore attento, non può sfuggire che l’idea di fondo è narrare un’Odissea
magnificamente attuale, in cui non ritorna a casa il protagonista, Giulio, ma
l’io narrante della terza parte, Alice. Questa staffetta dà l’idea della
profondità della trama: non tutti ce la fanno, ma la vita procede e qualcuno, a
volte, ritorna a casa. Emblematico il percorso di Giulio: via via che si
procede nella lettura è sempre meno presente, esce di scena in una lenta
dissolvenza e vi ritorna prepotentemente nel finale della terza parte non più
da uomo ma da scrittore. L’opera segue dunque il naturale percorso di tutti gli
scrittori, la metamorfosi che lascia – di una vita – unicamente l’opera. La
fine di Giulio è la fine di molti scrittori, una fine da scrittore e come tale
coerente con l’impostazione voluta dall’autore – e con la prima frase del
romanzo “Finirò male, perché sono un maudit”,
quasi una dichiarazione d’intenti. Giulio vuole riprendersi il suo posto nel
mondo diventando uno scrittore, non gli interessa altro, eppure fino all’ultimo
istante resta fedele alla citazione di Italo Calvino che si è scelto come
epitaffio: “Riuscì, pur stando solo, a sentirsi sempre dalla parte del
prossimo”. Il prossimo dunque, primi fra tutti i personaggi femminili di Masha
e Alice, vere coprotagoniste, che fanno da contrappunto alla visione tutta
maschile - “orgasmocentrica” come la definisce lui - di Giulio. Poi,
emblematicamente, ogni io narrante ha un amico: Giulio ha Giordano, Masha ha
Galya, Alice ha Sheila. Indimenticabile la riflessione di Masha: "Forse è
questo il bello dell'amicizia, riuscire a sentirsi di nuovo bambini, a volte,
almeno per un attimo". Sono molte le frasi che si scolpiscono nella mente
del lettore, le considerazioni originali, le riflessioni e altrettante le
battute folgoranti a volte affidate a Giordano – quasi una spalla di Giulio.
L’autore evita i richiami filosofici ma è indubbiamente,
a modo suo, un filosofo, per quanto da tatami.
E questo suo tratto caratteristico, questo avere sottolineato gli aspetti più
oscuri della personalità del protagonista, quest’enfasi data a quel particolare
tipo di degradazione e di momentaneo oblio che Giulio cerca nei bordelli –
senza mai trovarlo, le descrizioni dei suoi rapporti sessuali sono tra le cose
più tristi dell’opera – è la croce che ha condannato Tocchi a essere rifiutato
da agenti letterari e case editrici. Non una delle schede di valutazione ha
valutato l’opera senza giudicarne l’autore, dando per scontato che Tocchi sia
di Tocco. Ed è notevole rimarcare che la
stessa cosa è accaduta per il secondo romanzo dell’autore, quando anche in
Luigi i recensori hanno visto un suo alter ego. Ma questo errore di prospettiva
è causato dalla capacità di dare vita a protagonisti credibili, vivi.
Sono pochi gli scrittori che si siano cimentati con
un’architettura tanto ambiziosa, ancora di meno quelli italiani. Avrebbe potuto
risolversi un disastro, in una disarmonica stratificazione di storie, ma così
non è stato. Il merito, naturalmente, è dell’autore: un uomo che scrive “da
uomo” ma è altrettanto capace di descrivere i sentimenti di una madre verso i
propri figli, che è capace di farci sorridere per poi farci piangere la pagina
seguente. Lontano anni luce dal romanzo ottocentesco come dal post moderno,
ammiratore dei maudit e dei post
punk, Tocchi è soprattutto un autore dotato di uno stile originale, cosa che
nell’arte moderna non è forse proprio tutto, ma è già segno distintivo del vero
artista.
Professor Mario Caccamo